Fenomeno noto all’opinione pubblica solo per sommi capi, il negazionismo dell’Olocausto nazista (detto anche revisionismo) risulta essere un argomento tabù a causa della delicatezza del tema e della durezza delle reazioni che l’esposizione delle tesi dei negazionisti quasi sempre comporta. Proprio per una simile premessa occorre, prima di dimostrare l’infondatezza di tali tesi, chiarire chi le sostenga, per quale scopo e che origini abbia il negazionismo.
I natali del revisionismo sulla Shoah vanno ricercati negli anni ’50, quando uscirono le prime opere di autori quali Mauriche Bardèche, collaborazionista legato alla Francia di Vichy che sosteneva che i campi di sterminio fossero una invenzione della propaganda alleata al fine di coprire crimini quali i bombardamenti su Dresda, Hiroshima e Nagasaki, e Paul Rassinier, socialista francese deportato a Buchenwald che nel dopoguerra dichiarerà che la colpa del conflitto debba ricadere su ebrei e comunisti, giustificando in questo modo la politica persecutoria del Reich hitleriano. Circa vent’anni dopo, il negazionismo si sviluppò negli Stati Uniti grazie alla creazione dell’Institute for Historical Review, fondato nel 1978 a Torrance in California. Questo istituto para-accademico si occupa di organizzare convegni e pubblicare scritti negazionisti, oltre che stilare una serie di punti ai quali tutti i revisionisti dovrebbero aderire, quali l’inesistenza delle gassazioni, che non vi siano prove dello sterminio degli ebrei, e che la soluzione finale consistesse nell’emigrazione degli ebrei e non nella loro eliminazione fisica.
Alla fine degli anni ’70 il negazionismo iniziò a divenire un leitmotiv dell’estrema destra, grazie soprattutto all’opera di Robert Faurisson, docente di letteratura presso l’Università di Lione che sostenne la tesi secondo la quale lo zyklon B fosse usato per eliminare i pidocchi, che Hitler non avesse mai ordinato lo sterminio degli ebrei e che i forni crematori fossero stati usati per eliminare persone decedute per cause naturali. Nel corso degli anni ’90 si è sviluppato un filone negazionista negli Usa non necessariamente legato all’IHR in cui spicca il divulgatore Bradley Smith mentre dal 2000 il negazionismo è approdato al mondo islamico radicale, che in funzione anti-israeliana ha in alcuni casi fatto proprie le tesi negazioniste. Così hanno fatto Hamas, Hezbollah e l’Iran sciita. I negazionisti ancora attivi oggi sono il canadese Ernst Zundel, lo storico britannico David Irving, l’ebreo americano David Cole, il già citato Faurisson e l’italiano Carlo Mattogno. Le ragioni che portano persone di orientamento diverso a negare l’Olocausto sono svariate: spesso e volentieri si tratta di un semplice tentativo di riabilitare il regime nazista attraverso la negazione dei suoi crimini, oppure di un corollario di teorie antisemite e/o antisioniste (questo è il caso del negazionismo islamico), o semplicemente un tentativo di alcuni accademici di ottenere maggiore notorietà.
Una prima considerazione che nasce considerando le biografie dei negazionisti è la quasi totale assenza di storici di professione, o perlomeno di formazione, nelle loro fila. Escluso infatti Irving (sulla storicità delle cui opere è stato però avanzato più di un fondato dubbio), nessun negazionista può vantare competenze storiche basate su un serio percorso di formazione accademica. Fatta questa doverosa premessa, è necessario comunque prendere in considerazione alcuni dei leitmotiv del mondo negazionista al fine di dimostrarne la sostanziale inconsistenza e anti storicità. Tra di esse vi è il ritenere che l’assenza di documentazione scritta inerente gli ordini di sterminio comporti che lo sterminio non avvenne, che la struttura di campi di concentramento come Auschwitz non corrisponda a quella di un campo atto allo sterminio di migliaia di persone, che lo Zyklon B sia stato usato al fine di disinfestare dai pidocchi, che la maggior parte dei morti fosse causata dall’epidemia di tifo petecchiale che investì l’Europa in quegli anni, e che i forni crematori venissero usati per eliminare i cadaveri dei deportati morti di tifo.
Il fatto che non vi sia documentazione scritta superstite inerente agli ordini di sterminio non deve stupire: di fronte al programma di eutanasia forzata dei disabili (l’Aktion T4) della Germania nazista la stampa aveva lanciato una campagna volta a sensibilizzare l’opinione pubblica su una simile atrocità, risulta quindi logico da parte del regime il voler evitare minuziosamente la diffusione di testi che contenevano programmi anche più disumani dell’Aktion T4. Per quanto riguarda il ritenere che le camere a gas non fossero usate per uccidere delle persone ma semplicemente per eliminare i pidocchi, i negazionisti citano spesso e volentieri il Rapporto Leuchter, scritto pseudoscientifico del filosofo (e non ingegnere, contrariamente a quanto talvolta sostenuto) Fred A. Leuchter, che tenta di dimostrare come sia impossibile che le camere a gas siano state usate per scopi omicidi affermando che la presenza elevata di Zyklon B a ridosso dei crematori avrebbe sicuramente causato una esplosione, inoltre l’autore adduce a sostegno della sua tesi dei campioni di cemento e mattone da lui illecitamente raccolti per comprovare una presunta impossibilità dell’uso dello Zyklon B per uccidere dei deportati. Sulla prima affermazione, basti dire che la quantità di Zyklon B sufficiente a causare la morte è decisamente più bassa di quella che servirebbe per provocare una ingente esplosione, tutto questo senza dimenticare che i crematori erano tenuti ermeticamente separati dall’ambiente esterno, con tutta probabilità anche per evitare un’indesiderata deflagrazione. Riguardo ai campioni raccolti, non possono essere considerati in quanto le camere a gas vennero fatte esplodere nel 1944 con l’appropinquarsi dell’Armata Rossa al campo di Auschwitz, al fine di occultare le prove di quanto era accaduto in quel campo. E mi si consenta a questo punto di ricordare come i revisionisti siano soliti citare questo fatto quando può esser usato a suffragio delle loro teorie, ma si guardano bene dal farlo quando questo potrebbe intaccare la validità dei campioni da loro raccolti. Per chi volesse approfondire tale argomento, rimando alla lettura dello scritto À propos du « rapport Leuchter » et les chambres à gaz d’Auschwitz, dello storico e chimico Georges Wellers. Per quanto riguarda il ritenere che la struttura del campo di Auschwitz non corrispondesse a quella di un campo di sterminio, è sufficiente ricordare come il complesso di Auschwitz non sia nato per tale scopo: agli inizi era destinato a diventare la capitale di un distretto industriale bonificato dagli slavi e dagli ebrei, e solo in seguito diventò un campo di sterminio, come ha fatto notare lo storico dell’architettura Robert Jan Van Pelt.
Dai negazionisti viene anche attaccata la storicità del ben noto diario di Anna Frank, adducendo a sostegno di una simile tesi il fatto che la giovane Frank citasse le camere a gas nel suo diario quando invece la conoscenza di esse non sarebbe stata possibile al di fuori dei campi di sterminio, e che il suo diario sia stato scritto in penna biro, penna che è stata messa in commercio solo all’indomani della Seconda guerra mondiale. Innanzitutto, l’emittente inglese BBC, che stando a quanto dichiarato dallo stesso diario veniva ascoltata dalla Frank durante la clandestinità, parlò in diverse occasioni delle camere a gas, mentre per ciò che concerne l’utilizzo della penna biro basterà riferirsi al fatto che nel 1986 in Olanda il diario venne sottoposto dall’Istituto Olandese di Ricerca sulla Seconda guerra mondiale ad una perizia calligrafica che ha provato al di là di ogni ragionevole dubbio che tale scritto precede la data di arresto della sua autrice.
Proprio a causa della sua anti scientificità ed anti storicità, il negazionismo è un’opinione che non riscuote il minimo successo tra gli storici di professione (salvo rarissimi casi come il già citato David Irving), i quali invece non hanno avuto grosse difficoltà a confutare quanto sostenuto dai revisionisti, e questo anche in paesi dove l’affermare che la Shoah non sia mai avvenuta non costituisce reato.