Nel giugno del 2012, il professore di Letteratura Inglese David McCullough tenne il discorso di chiusura alla cerimonia di consegna dei diplomi alla Wellesley High School, in Massachussets. Il video del discorso è diventato virale nel giro di poco tempo, raggiungendo oltre 2 milioni di visualizzazioni.
Diplomati della Wellesley High School Classe del 2012, per il privilegio di parlarvi oggi pomeriggio sono onorato e grato. Grazie.
Eccoci qui: la cerimonia di consegna dei diplomi. Una delle grandi cerimonie della vita.
Si può dire che questo evento corrisponda al grande inizio cerimoniale della vita, con annesso il suo altamente appropriato simbolismo, ad esempio le vostre toghe da diplomati: mono colore, taglia-unica. Tutte completamente uguali.
Che siate maschio o femmina, alti o bassi, studiosi o lavativi, reginette del ballo scolastico o killer intergalattici sull’Xbox, ognuno di voi è vestito allo stesso modo e i vostri diplomi, ad eccezione del nome che vi è inciso sopra, sono perfettamente identici.
Tutto ciò perché, come giusto che sia, nessuno di voi è speciale.
Non siete speciali. Non siete eccezionali.
Non importa quante volte il vostro “materno” Cavaliere Oscuro sia accorso in vostro aiuto, perché voi non siete nulla di speciale.
Certo, siete stati viziati, coccolati, scrupolosamente controllati e avvolti nella carta da imballaggio onde evitare che vi faceste male.
Adulti competenti, pur avendo altro da fare, vi hanno tenuto in braccio, baciato, nutrito, pulito la bocca, pulito il sedere, allenato, insegnato, fatto da mentore, vi hanno fatto esercitare, ascoltato, dato consigli, incoraggiato, consolato. Siete stati esortati, persuasi, lusingati e implorati. Siete stati festeggiati, coccolati e chiamati “tesori della mamma e/o di papà”.
E certamente abbiamo assistito entusiasti a tutte le vostre partite di calcio, alle vostre recite e alle vostre esibizioni. Quando entrate in una stanza, i sorrisi s’illuminano sul nostro volto e centinaia di persone rimangono estasiate a ogni vostro Tweet.
Ora avete finito le superiori. E oggi noi siamo riuniti qui per voi. Orgogliosi e pieni di gioia. Ma non provate neanche a pensare d’essere speciali.
Perché non lo siete.
I numeri parlano chiaro: in tutta la nazione, proprio in questo momento, non meno di 3,2 milioni di studenti si stanno diplomando in più di 37mila scuole superiori. Vale a dire 37mila Valedictorian, 97mila contralti armonici, 340mila prestanti atleti, 2.185.967 paia di All Stars. Ma perché limitarci alle scuole superiori? Dopotutto le avete appena finite. Perciò pensate a questo: anche se voi foste 1 su un milione su un pianeta di 6,8 miliardi di persone, significa che ci sono quasi 7000 persone identiche a voi.
E considerate per un attimo il quadro più ampio: il nostro pianeta non è il centro del nostro sistema solare, che a sua volta non è il centro della galassia di cui fa parte, che non è a sua volta il centro dell’universo. Per la verità, secondo l’astrofisica, l’universo non ha un centro. Pertanto non potete esserlo voi (e certamente non lo è nemmeno Donald Trump… Qualcuno dovrebbe dirglielo…).
Qualcuno ribatterà: «Ma Walt Whitman dice che io sono la mia personale versione di perfezione! Epitetto ha scritto che possiedo la scintilla di Zeus!».
E sono d’accordo con voi. Perciò questo ci lascia con 6,8 miliardi esempi di perfezione e 6,8 miliardi scintille di Zeus.
Vedete, se tutti sono speciali, allora nessuno lo è.
Se tutti ricevono un trofeo, i trofei diventano insignificanti. Nella nostra tacita (ma non così sottile) competizione darwiniana che scaturisce dalla paura della nostra stessa irrilevanza di fronte alla mortalità, negli ultimi tempi, noi americani, a nostro discapito, siamo arrivati al punto di preferire i riconoscimenti rispetto ai risultati finali. Siamo arrivati a vederli come un fine. E accettiamo di buon grado il fatto di raggiungere compromessi o ignorare la realtà se questa è la via più rapida per avere qualcosa da esporre sulla mensola sopra il camino: qualcosa per cui atteggiarsi, qualcosa di cui vantarsi o che faccia da leva verso un miglior piazzamento nella gerarchia sociale.
Non si tratta più di come giochi la partita, né se vinci o perdi, o se impari qualcosa, o se cresci o ti diverti facendolo. Ora quello che ci si chiede è: «Quindi io cosa ci guadagno?».
E’ come un’epidemia, e in questo senso neanche la cara vecchia Wellesley High ne è immune. La nostra scuola, una delle migliori del paese, dove “buono” non è abbastanza, dove la “B” è la nuova “C” .
E spero mi abbiate beccato quando ho detto “una delle migliori”. L’ho detto di proposito, affinché potessimo sentirci migliori, per poterci crogiolare in una facile distinzione, per quanto vana e inverificabile, e includerci nell’élite, qualunque essa sia.
Per definizione, può esserci un solo migliore. Lo sei o non lo sei.
Se avete imparato qualcosa in questi anni, spero sia che l’educazione dovrebbe essere, più che un vantaggio materiale, l’euforia dell’apprendimento. Spero abbiate imparato che, come diceva Socrate, la conoscenza è il primo passo verso la felicità.
Spero abbiate anche imparato abbastanza da riconoscere quanto poco sappiate ora della vita. Oggi non è che l’inizio di tutto. Ciò che importa è dove andrete a partire d’adesso.
Prima che vi disperdiate come foglie nel vento, vi sollecito a fare qualsiasi cosa facciate per nessun altro motivo se non perché l’amate e credete nella sua importanza.
Non sprecatevi in un impiego che non amate più di quanto non fareste con un coniuge di cui non siete innamorati.
Non credete ai facili agi della compiacenza o al pretestuoso luccichio del materialismo o alla narcotica paralisi dell’auto-appagamento. Siate meritevoli dei vostri privilegi.
Leggete, leggete tutto il tempo, leggete come questione di principio, come una questione di rispetto personale.
Sviluppate e proteggete una sensibilità morale e dimostrate il carattere necessario ad applicarla. Sognate in grande. Lavorate duramente. Pensate con la vostra testa.
Amate qualunque cosa amiate, chiunque amiate, con ogni forza. E fatelo, per favore, come con un senso di urgenza, perché ogni ticchettio dell’orologio si sottrae a sempre meno ticchettii.
La vita appagante, la vita peculiare, la vita rilevante è un risultato. Non è qualcosa che ti cadrà in braccio parchè sei una brava persona o perché mammina l’ha fatto per te.
Theodore Roosvelt, il vecchio “Rough Rider” , era promotore della vita votata al sacrificio, alla fatica. Henry Thoreau voleva mettere la vita con le spalle al muro per viverla profondamente e succhiarne fuori il midollo. Mary Oliver scrisse in “West Wind” di remare, remare fin dentro al vortice e rimestare. Il punto è lo stesso: datevi da fare e non aspettate che sia la vostra ispirazione o passione a trovare voi, ma alzatevi, uscite, esplorate e trovatevela per conto vostro.
Ora, prima che vi precipitiate a tatuarvi YOLO sulla schiena e sulle braccia, dovete tenere presente che l’espressione giusta non è “SI VIVE UNA VOLTA SOLA” ma “VIVI OGNI GIORNO DELLA TUA VITA”.
Infatti, e questo vale anche per i riconoscimenti, la vita appagata è una conseguenza, un gratificante effetto collaterale. E’ ciò che accade mentre pensate a cose più importanti.
Scalate la vetta non per piantarci la vostra personale bandiera, ma per vincere la sfida, respirare l’aria pura e godere del panorama. Scalatela per vedere il mondo, non per farvi vedere dal mondo.
Esercitate il libero arbitrio e una mente creativa, indipendente, e fatelo non per le soddisfazioni che porteranno a voi ma per il bene che faranno agli altri, i restanti 6,8 miliardi di persone e coloro che verranno dopo.
E scoprirete che la grandiosa verità dell’esperienza umana è che l’altruismo è quanto di meglio possiate fare per voi stessi. Le gioie più belle della vita, allora, deriveranno dalla consapevolezza che voi non siete speciali, perché ognuno di noi lo è.
Congratulazioni. Buona fortuna.
Create per voi stessi, per il vostro e il nostro bene delle vite straordinarie