Viene chiamato “Biodiversity Offsetting” o “Ecosystem Offsetting”. In sostanza, si tratta di uno stratagemma della finanza globale per mettere definitivamente le mani sugli ecosistemi. Se la logica del “tutto deve avere un prezzo” si estende anche all’ambiente anch’esso viene trasformato in un’operazione di business, una sorta di finanziarizzazione della natura. Quando quest’ultima viene minacciata dalla mano dell’uomo, la cui scelleratezza può incrinare il suo fragile equilibrio, il mobilitarsi delle organizzazioni pro-ambiente non basta più. Discariche a cielo aperto? Siti minerari prosciugati ed abbandonati? Nessun problema. Basterà quotare il danno e trasferire il risarcimento altrove. Istituzioni finanziarie e governi premono per introdurre il concetto della “compensazione traslata” del danno ambientale, in particolare di habitat protetti e biodiversità. Se la valutazione di impatto ambientale punta a causare il minor danno possibile, il nuovo meccanismo non si cura più di salvare il territorio minacciato ma si limita a quantificare il danno. In pratica, viene creato un mercato di titoli collegati alla biodiversità e agli habitat naturali da avviare alla compravendita, come per qualsiasi altro titolo di investimento altamente speculativo.
Una pratica simile a quella dei famigerati “crediti di carbonio”, che permette alle aziende responsabili di danni ecologici di dichiararsi investitori nella protezione dell’ambiente, con conseguente ritorno d’immagine e “risciacquo” dei loro prodotti e servizi. Così, la protezione dell’ambiente si trasforma in un sottoprodotto commerciale. «Il paradosso è che le più grandi aberrazioni in tema di ambiente vengono concepite proprio in occasione dei grandi vertici internazionali, spacciati per momenti di bilancio e autocritica, per ricercare soluzioni alle drammatiche emergenze dell’umanità e del pianeta» afferma Rebecca Rovoletto, portavoce del comitato ambientalista OpzioneZero.
Cibo, fibre, acqua, aria, energia, sicurezza climatica: i beni e i servizi degli ecosistemi ogni anno ammontano a milioni di dollari, anche se fa effetto solamente pensare ad una cosa del genere. Sono fondamentali per la nostra sopravvivenza, ma il loro immenso beneficio deve essere registrato all’interno dei nostri sistemi economici, come una merce qualsiasi. «Non esiterei a paragonarla a una dichiarazione di guerra al pianeta e ai suoi abitanti. Tutto ciò sta avvenendo mentre ovunque nel mondo ci si batte per la difesa dei territori, per la sovranità alimentare e l’accesso alla terra, per il diritto alla gestione e tutela dei beni comuni naturali da parte delle comunità».
Mentre sale la protesta dei movimenti ambientalisti, alcune autorevoli istituzioni come Unesco e WWF sostengono questo progetto, ma vengono accusate di condividere la medesima miope visione: «L’ottica di un investimento di capitali in alcune riserve protette andrà a discapito però di tutte le altre aree aggredite». Per Rovoletto, si aprono scenari inimmaginabili: «La natura è unica e complessa, è impossibile misurarne o quantificarne la biodiversità. Alcuni ecosistemi hanno impiegato migliaia di anni per raggiungere il loro stato attuale. Che valore hanno i loro abitanti, umani e non umani? Che fine faranno la sussistenza, le economie, la cultura? La natura ha un ruolo sociale, fondamento e sostegno per le comunità, che definiscono il proprio territorio sulla base del rapporto tradizionale con la terra: come si può pensare di sfollare intere comunità? La logica dell’offsetting della biodiversità separa le persone dall’ambiente e dai territori in cui vivono, marginalizzandole fino a minacciare lo stesso diritto alla vita».
In Brasile, per esempio, il nuovo codice forestale permette ai proprietari terrieri di distruggere i boschi contro l’acquisto di certificati di riserve ambientali emessi dallo Stato e commercializzati alla Borsa Verde di Rio.
La stessa filosofia iper-liberista della Banca Asiatica di Sviluppo, dalla Banca Giapponese per la Cooperazione Internazionale (Jpic) e dalle francesi Coface e Agenzia di sviluppo (Afd), che hanno finanziato il mega-progetto di estrazione mineraria di nichel e cobalto Weda Bay in Indonesia. L’azienda mineraria francese Eramet, incaricata del progetto, dichiara di coniugare “business e biodiversità”. L’impatto sulle persone e sul territorio è però contestato dalle comunità locali e da organizzazioni internazionali.