PepsiCo, Design, Glamour: l’Universo a Misura di Mauro Porcini

Lungimirante. Innovativo. Eclettico quanto basta. Mauro Porcini è oggi non solo uno dei manager italiani più conosciuti, amati e stimati del mondo, ma colui il quale ha trasformato il marchio PepsiCo in uno dei brand più glamour e cool del mondo. La sua ricetta?

Sicuramente il suo amore per tutto ciò che si avvicina alle arti e al design, passione da cui non solo ha creato una professione, ma che, insieme alla Scuola Politecnica di Design, è pronto a trasmettere ai promettenti talenti del primo Master in Food Design, di cui Smartweek ha parlato nelle scorse settimane, che inizierà alla fine di marzo a Milano e di cui lui e PepsiCo sono tra i principali promotori.

Dottor Porcini, unire il concetto di cibo a quello del design è sicuramente un’idea vincente. Quali sono gli obiettivi di questo nuovo percorso di studi?

Sicuramente il master ha l’obiettivo di formare professionisti che sappiano unire le competenze di marketing e comunicazione con la sensibilità e la metodologia progettuale del design, Non c’erano scuole al mondo che formavano questo tipo di professionisti e noi in PepsiCo abbiamo avuto per primi delle difficoltà ad assumere questo tipo di professionalità.

Con la scuola Politecnica e Antonello Fusetti, Direttore di SPD, è stato un incontro di bisogni, di esperienze, di cammini e abbiamo lavorato duramente per creare questo percorso.

Cosa c’è di Mauro Porcini in questo Master?

C’è un amore per la società, per l’innovazione. C’è la ricerca volta a fare qualcosa che abbia impatto su questi elementi e che trascenda dal brand e dal mio lavoro. Mi piace pensare che ciò che faccio aiuti le persone e che sia di valore per la società. Questo mi porta a sognare assieme ai miei progettisti e alle persone che lavorano con me, per creare qualcosa degno di questo mix di elementi.

Pepsi Big Bold Blue_cans

Lei ha avuto il merito di rendere PepsiCo molto cool, adatto ad un pubblico variegato, strizzando l’occhio ai più giovani e alle celebrities.

Credo che la forza di PepsiCo sia stata quella di equilibrare e adattare tutto il portfolio dei propri prodotti alla contemporaneità. Pepsi è sempre stato un brand del now, del momento. Ha sempre cercato di stare al passo coi tempi e con una società in continua evoluzione. Prendiamo ad esempio i social network che stanno costruendo una comunicazione biunivoca tra le aziende e il consumatore. I brand devono far parte di questa conversazione, comportandosi in maniera rilevante, divertente, offline, in modo che il consumatore ritenga interessante il modo di comportarsi dei brand e ne faccia poi conversazione, comunicazione, diffusione. Il mio lavoro è stato quello di capire cosa fosse rilevante e soprattutto chiedermi cosa rendesse Pepsi cool. Quindi ho cercato di attivare il brand sul versante dello sport, della musica, dell’arte e del design per dargli un ruolo rilevante in queste piattaforme.

Porcini-038Come spiega oggi l’estrema attenzione al dettaglio da parte dei prodotti del largo consumo? PepsiCo ad esempio ha in sè brand non solo buoni, gustosi, ma oserei dire anche belli e ricercati.

Io userei una parola chiave: autentici. Il prodotto che creiamo deve sempre essere il migliore possibile, e il suo packaging lo deve essere altrettanto. La nostra sensibilità è quella di creare questa relazione.

Noi abbiamo designer che disegnano il prodotto. Il prodotto è concepito nella sua interezza attraverso processi che lo portano da una fase di concepimento fisico alla sua trasformazione. E noi lo seguiamo passo dopo passo, rendendolo non solo bello, bensì gustoso e autentico.

Si parla spesso di lei come uno dei personaggi più influenti nel mondo pubblico. A 39 anni sente che ha ancora qualcosa da conquistare?

Io sono drogato di emozioni, nella vita privata e sul lavoro. Questa è un po’ una benedizione e una condanna. Ho solo 39 anni, se pensassi di essere arrivato è la fine. Nella mia carriera penso di aver coniugato due mondi, quello italiano, del design italiano e quello del business e di esserci riuscito abbastanza bene. Oggi come oggi penso di essere riuscito ad avere solo un palcoscenico più importante e di essere riuscito a creare delle connessioni con delle persone incredibili che incontro ogni giorno in questo percorso e dalle quali il mio lavoro e la mia persona vengono contaminati.

Perché secondo lei l’Italia fatica ad affermare delle storie di successo come la sua?

L’Italia è un paese che spesso fa difficoltà a riconoscere i meriti di altri italiani che vivono nello stesso paese e che soffre spesso dell’incapacità di fare sistema.

Infine la nostra grande capacità di essere individualisti, che ha permesso l’affermazione di grandi personaggi negli anni ’70, ma che oggi in un mercato globale, deve lasciare spazio ad una nuova mentalità, un nuovo modo di fare business. Un modo in cui è importante creare connessioni che facciano uscire le persone dalla provincia per avvalersi di know-how diversi in giro per il mondo.

Dove sono i nostri giovani in tutto questo?

Ti racconto una piccola storia. Quindici anni fa andai ad una mostra alla triennale di Milano sui giovani designer e mi ritrovai davanti ad un’età media di 50 anni. All’epoca aveva poco più di 20 anni e pensai che non potevo aspettare ancora 30 anni per far parte di quel mondo. Cose del genere nella cultura anglosassone non esistono. Io credo che ai nostri giovani dobbiamo dare più fiducia, risorse e merito.

Posso chiederle dove si vede da qui ai prossimi 10 anni?

Non lo so! Vorrei solo fare qualcosa che mi permetta di trasformare la mia visione in realtà.