Profit o Non profit? Arriva l’Impact Investing

impact investing

Nel nostro immaginario è molto radicata la dicotomia profit-non profit. E se fosse ormai un concetto superato? Se fosse possibile unire il ritorno economico a un impatto sociale positivo? E’ quello che cerca di fare il paradigma dell’impact investing, un nuovo modello di business affermatosi negli ultimi anni caratterizzati da bisogni e sfide sociali sempre più complessi e un budget pubblico sempre più sotto pressione.

Il termine è stato coniato nel 2008 da JP Morgan e Rockfeller Foundation e viene definito come un “insieme di investimenti in società, organizzazioni e fondi, con l’intenzione di generare un impatto quantificabile a livello sociale e ambientale oltre che rendimenti finanziari”. Questa nuova forma d’investimento ha trovato applicazione prima nei paesi in via di sviluppo con il microcredito, cioè il prestito di una ridotta somma di denaro a favore di soggetti con un basso profilo socio/economico, esclusi quindi dai tradizionali canali di credito, poi nel mondo occidentale. In particolare in Paesi come Gran Bretagna, Francia, Australia e Stati Uniti hanno contribuito in modo significativo alla sperimentazione di questo nuovo modello.

Nel 2013 si è tenuto a Londra il G8 Social Impact Investment Forum, un momento di confronto importante per lo sviluppo di questo mercato. Per capire meglio questo nuovo modello di investimento, prendiamo la realtà italiana. Nel nostro paese a partire dal 2006 opera Oltre Venture, un fondo di investimento che ha applicato il modello del venture capital (quindi l’apporto di capitale di rischio in un’attività ad alta potenzialità di sviluppo) ai settori sociali, caratterizzati da una forte presenza del settore pubblico e una scarsa innovazione nei modelli erogativi a causa della scarsa disponibilità di risorse.  Oltre ha raccolto 8 milioni di euro da 21 investitori, realizzando investimenti ad alto impatto sociale in diversi settori.

Qualche esempio? PerMicro, la prima società italiana di microcredito, che nel 2015 conta 2.585 famiglie finanziate, 265 start-up avviate, 1.014 posti di lavoro creati, 2.560 migranti sostenuti; il Centro Medico Santagostino, una rete di poliambulatori che offrono prestazioni di medicina specialistica a tariffe accessibili, conta oggi 8 sedi, 10 milioni di euro di fatturato, 63.000 pazienti trattati; Concordia s.p.a, un progetto innovativo nel settore della residenzialità per anziani, che offre soluzioni residenziali flessibili e alternative all’istituto, integrate con servizi assistenziali, sanitari e relazionali.

Investimenti quindi molto diversi tra loro ma accomunati dallo stesso obiettivo: fornire soluzioni innovative per la soddisfazione di bisogni collettivi. Un modello interessante quindi, soprattutto considerando che, come ha dimostrato la crisi del 2007-2008, c’è liquidità che cerca nuovi canali di investimento. Non sarebbe positivo incanalarla verso investimenti che portano redditività mentre soddisfano bisogni collettivi?