Il lungometraggio Silence, ultimo capolavoro del regista Martin Scorsese, ha debuttato sul grande schermo il 29 novembre del 2016, riscuotendo un buon successo sia a livello di critica che al botteghino. Con un cast composto da attori come Liam Neeson, Andrew Garfield e Adam Driver, la trama si sviluppa nel Giappone del XVII secolo, e ha come protagonisti i due padri gesuiti Rodrigues e Garrpe, che si recheranno volontariamente nella terra del Sol Levante alla ricerca del loro mentore padre Ferreira, che si dice abbia abbandonato il cristianesimo per vivere come un giapponese di fronte all’incrudelirsi delle persecuzioni contro i cristiani iniziate nella seconda metà del ‘500.
Tratto dal romanzo Silenzio dello scrittore cattolico giapponese Shusaku Endo, questa pellicola della durata di oltre due ore appassiona e fa immedesimare nel dramma interiore dei protagonisti, dilaniati dalla volontà di restare fedeli al Vangelo e il terribile silenzio di Dio di fronte alla feroce persecuzione a danno di coloro che gli sono fedeli, giungendo fino alla sofferta apostasia di padre Rodrigues. Ciònonostante, viene sottolineato dai dettagli disseminati da Scorsese nella parte finale del film che la fede del protagonista sia sopravvissuta, scorrendo come una sorta di fiume carsico, fino alle sequenze finali in cui la moglie impostagli dal perfido magistrato Inoue depone di nascosto tra le sue mani il crocifisso ligneo donatogli dai pescatori cristiani, sopravvissuta e perfino capace di attrarre a se quelli che gli stanno attorno (sua moglie, il debole Kichijiro…).
Oltre a trattare il dramma umano di quei missionari europei e di quei cristiani giapponesi che subirono una persecuzione che nasceva dalla volontà delle autorità nipponiche di mettere al bando la religione cristiana (decisione di natura prettamente politica in quanto coincidente con la chiusura del Giappone al mondo esterno), Scorsese apre un’interessante quinta sulla cristianità in terra giapponese, che contro ogni umana speranza riesce, pur decimata, a sopravvivere nonostante l’assenza di sacerdoti, di contatti con il resto del mondo e le vessazioni delle autorità, giungendo fino alla restaurazione della libertà religiosa nel paese, avvenuta nel 1871 con l’avvento della dinastia Meiji.
La storia del cristianesimo giapponese ha inizio nell’agosto del 1549, quando il gesuita Francesco Saverio sbarca in terra nipponica dando inizio ad una attività evangelizzatrice che diede frutti soprattutto nel sud del paese, arrivando a contare ben 300.000 convertiti. Inizialmente tollerata e perfino appoggiata dallo shogunato, le cose iniziarono a cambiare con l’avvento al potere di Hideyoshi, che timoroso delle possibili conseguenze politiche dell’apostolato dei gesuiti li espulse dal Giappone, insieme a tutti i missionari stranieri. Negli anni successivi all’editto di espulsione ebbero inizio le prime persecuzioni violente a danno delle comunità cattoliche del paese. Le condizioni dei cristiani giapponesi subirono un netto peggioramento nel 1614, anno in cui lo shogun Tokugawa Ieyasu mise ufficialmente al bando il cristianesimo, che perdeva il diritto all’esistenza in Giappone. Ben presto i cristiani giapponesi vennero messi di fronte al bivio tra l’apostasia, da mettere in atto tramite il calpestamento del fumie (un’immagine sacra), e la morte, una morte che non di rado giungeva dopo la tortura.
Nel 1637 nei pressi di Nagasaki (città in cui l’evangelizzazione aveva portato ottimi risultati e in cui ancora oggi risiede la più grande comunità cattolica del Giappone) scoppiò una rivolta di contadini provocata da ragioni economiche (le tasse imposte dal signore locale risultavano essere estremamente gravose) e religiose, essendo messa in atto prevalentemente dai cristiani, i quali sotto la guida del leggendario ronin di fede cristiana Amakusa Shiro si asserragliarono nel castello di Shimabara tenendo testa per un anno alle armate inviate da Tokugawa, che nel 1638 ebbero ragione sugli insorti. All’indomani della ribellione di Shimabara, la persecuzione contro i cristiani aumentò in intensità e ferocia.
Le comunità cristiane nascoste in Giappone
Prive di un sacerdote e duramente perseguitate, le comunità cristiane si organizzarono segretamente, mantenendo nascosta la loro fede in pubblico: erano i kakure kirishitan, i “cristiani nascosti”, che scomparvero dalla scena pubblica giapponese mantenendo però viva la fiaccola di quella fede che l’incontro con Cristo, fatto tramite i missionari, aveva portato. Questi cristiani nascosti si ritrovavano a pregare insieme di nascosto in case di privati, nascondendo i simboli della loro fede o camuffandoli in modo che sembrassero delle normali icone o statuette buddiste (non di rado si trovano statue raffiguranti la Madonna col Bambino che nella loro rappresentazione sono identiche a quelle della dea buddista Kannon).
Queste comunità orbitavano attorno ad un capo villaggio che conservava i libri sacri e il calendario cristiano, un battezzatore che impartiva il sacramento del battesimo ai neonati, un catechista che insegnava la dottrina cattolica e un annunziatore che aveva il compito di visitare i cristiani per annunciare loro le domeniche, le feste e i giorni di digiuno. In questo modo dei frammenti di quella nascente cristianità nipponica, brutalmente stroncata dalle persecuzioni, si preservarono segretamente, venendo alla luce per la prima volta dopo secoli solamente nel 1865. In quell’anno in diverse città portuali giapponesi si trovavano alcuni luoghi di culto cristiani, la cui costruzione era stata concessa per i fedeli occidentali che si trovavano in Giappone per ragioni diplomatiche o commerciali, ma il cui accesso era proibito ai giapponesi. Fu proprio in una di queste chiese della città di Nagasaki cui il sacerdote francese Bernard Petitjean venne contattato da un gruppo di donne giapponesi, le quali lo interrogarono sulla dottrina cattolica e dopo averne accertato l’ortodossia accettarono di ricevere da lui i sacramenti, rivelando al mondo l’esistenza di una comunità cattolica risalente all’evangelizzazione di Francesco Saverio e che era sopravvissuta fino ad allora.
Con l’incontro con padre Petitjean e il ritorno della libertà religiosa del 1871, la maggior parte dei kakure kirishitan rientrò progressivamente sotto la giurisdizione della Chiesa di Roma. Una piccola frazione di essi però, presente specialmente nelle Isole Goto e a Urakami, non si riunì alla Chiesa cattolica continuando a praticare la propria fede come aveva fatto fino a quel momento: è il caso degli hanare kirishitan, i “cristiani separati”. All’oggi gli hanare kirishitan sono una comunità numericamente molto ridotta e in forte declino, e che tende a limitare al minimo le conversazioni inerenti alle loro pratiche religiose, come se la segretezza a cui sono stati costretti per secoli sia ormai stata assorbita nel loro modus operandi. Ai giorni nostri in Giappone vi sono circa 2 milioni di cattolici, che rappresentano il 2% della popolazione giapponese. La maggior parte delle chiese nipponiche non conta più di 30 persone alle celebrazioni domenicali.