Bespokedudes: Fabio Attanasio e l’Artigiano Locale Made in Italy di Successo

Prendete l’eleganza, il lustro del piccolo artigianato locale Made in Italy e uniteli alla ricerca maniacale del dettaglio e della perfezione estetica. Otterrete un prodotto, the BESPOKEDUDES, fondato da Fabio Attanasio nel 2012, già punto di riferimento nel mondo della moda maschile.

Fabio, cos’è e com’è nato the BESPOKEDUDES?

Il primo post è stato un salto nel buio, un esperimento nato non da un progetto aziendale, ma da una semplice passione personale. Non ho fatto una ricerca di mercato ex- ante per capire che mancava qualcuno sul web che parlasse di sartoria in Italia. Mi piaceva quest’ambito, mi piaceva raccontare storie e dunque ho deciso di aprire il blog.  L’uomo è diverso dalla donna. Gli uomini che mi seguono non lo fanno per sapere cosa faccio durante le mie giornate, ma per avere un servizio: scoprire nuove realtà e conoscere nuovi prodotti. A differenza di quanto si possa pensare, io non do consigli su come un uomo dovrebbe vestirsi, mai mi porrò come cattedrante perché trovo che sia l’antitesi dell’eleganza.

Perché the BESPOKEDUDES  è oggi a tutti gli effetti uno strumento importante per le piccole realtà sartoriali?

Oggi il sarto riesce a dedicarsi solo al lavoro, in quanto la sua intera giornata lavorativa la trascorre in bottega a lavorare sugli abiti e quindi in nessun modo la sua attività presenta le caratteristiche di  un’ organizzazione aziendale strutturata. Qualcosa però sta cambiando. Le nuove generazioni, rappresentate  spesso dai figli degli artigiani, si stanno aprendo ai social network e iniziano a postare foto di giacche, pantaloni ed abiti prodotti all’interno della loro sartoria. Queste sono le prime forme di comunicazione embrionale degli artigiani, che poi vengono da me per dare alla loro attività un’exposure maggiore.

Qual è secondo te la condizione del Made in Italy oggi?

L’alta moda un tempo nasceva dall’alta sartoria, dall’artigianato. Poi col tempo ce ne siamo distaccati e abbiamo scoperto i grandi brand che, pur fregiandosi di un Made in Italy, di fatto spesso delocalizzano la produzione. Non credo sia illecito delocalizzare per abbassare i costi. Credo sia non corretto sfruttare il proprio brand spacciando i propri capi di abbigliamento per capi prodotti in Italia quando in realtà non lo sono.

Stiamo diventando le mani di imprenditori stranieri i quali oggi vendono a noi stessi quello che noi produciamo. Acquistano le nostre stoffe, le producono in Paesi dove i costi di produzione sono molto bassi e poi rivendono a noi Italiani i prodotti finiti. Noi lo stiamo perdendo il Made in Italy, la stiamo perdendo la nostra forza. Vorrei arrivare ad un  punto in cui l’artigianato ritorni ad avere una sua propria identità.

attanasioL’artigianato può ritrovare il vecchio splendore?

Gli artigiani si stanno rendendo conto che il passaparola non funziona più. Oggi la clientela gira il mondo e scopre nel frattempo che lo stesso abito può farselo confezionare in un altro posto ad un prezzo più contenuto. Oggi la maggior parte delle botteghe sopravvive grazie ad un 90% di commesse estere. Per molto tempo l’italiano si è disinteressato del Made in Italy. Fare un giro in Corso Vittorio Emanuele a Milano significa fare una passeggiata tra brand Made in China, tutto questo mentre le aziende italiane soffrono o hanno chiuso perché i grandi gruppi hanno delocalizzato.

È fondamentale che il consumatore italiano ritrovi una maggior consapevolezza. Spesso il consumatore non è informato, non sa che una giacca fatta interamente a mano da un sarto che impiega 50 ore per confezionarla può costare meno di una giacca su misura industriale fatta a macchina. Dicendo questo non è mia intenzione demonizzare l’industria. Piuttosto, credo sia necessario tornare a parlare di sartoria in modo tale da creare consapevolezza d’acquisto. Personalmente possiedo giacche di sartoria fatte male e abiti di confezione fatti molto bene.  L’importante è sapere che esistono anche sarti presso cui è possibile farsi confezionare un abito su misura a prezzi più contenuti, sempre di alta gamma ovviamente, ma potendo risparmiare considerevolmente rispetto alla confezione industriale.

Se le persone sapessero questo, in molti probabilmente smetterebbero di comprare il grande marchio. Il problema è che ovviamente i grandi brand di moda fanno investimenti in marketing che un sarto non potrà mai permettersi.  È importante informare le persone, far aprire  gli occhi sul mondo dell’artigianato facendo capire loro che per anni hanno solo comprato un’etichetta, pagando un markup che non è più giustificabile, non è più etico.

Si fa un gran parlare ultimamente di questa ritrovata concezione del “ gentleman”. Ci dai la tua definizione di gentleman?

Elegante deriva da “elegans”, “eligere” e quindi “colui che sa scegliere”. Il brand secondo me è un espediente. È comodo a chi non ha tempo, voglia, estro di disegnarsi i propri vestiti. Ovviamente la parola gentleman non ha a che fare solo con ciò che un uomo indossa, ma con un concetto di eleganza più ampio, a 360 gradi, che parte da dentro, di cui i vestiti sono solo una rappresentazione esteriore. Nel mondo dell’abbigliamento il gentleman è chi conosce e ricerca dal drappiere il tessuto particolare, lo porta dal suo artigiano, lo studia e a quel punto la giacca è diventata un progetto: i bottoni, la distanza del taschino dalla spalla, l’altezza della prima asola… è una poesia, una passione. Il brand è una scelta altrui, fatta da un designer. Oggi il discriminante sembra essere diventato solo il denaro e molto spesso più un capo di abbigliamento è costoso più viene desiderato ed acquistato, ma il fine ultimo dell’acquisto non è più quello dell’eleganza bensì un pura pratica di ostentazione di agiatezza economica: ciò che più di tutto si allontana dal vero concetto di eleganza.