Fashion non più solo fashion: Dior e il femminismo trendy

Dior Fashion Show – Paris, February 2020

Siamo nell’era del wearable activism: al giorno d’oggi, basta indossare una t-shirt con su scritto “Feminist” per prendere posizione in una battaglia che va avanti da anni, per cui tante donne hanno dato e perso tutto. La moda, oggi, si presta come portavoce di posizioni politiche, dandoci la possibilità di esprimerci e, al contempo, essere trendy. Ma è sempre stato così? Di certo, in questo ambito, c’è chi ha fatto la differenza: “We Should All Be Feminists” recitavano le t-shirts bianche inserite in modo quasi casuale da Maria Grazia Chiuri nella sfilata di Dior del 2016 a Parigi. Sin dal suo debutto come prima direttrice creativa di Dior, la Chiuri ha reso subito chiaro il suo intento di rivoluzionare il ruolo della moda nella lotta per i diritti delle donne. Proprio quella semplicissima t-shirt ha rappresentato il primo passo per dimostrare a chi ancora fosse convinto che moda e politica non potessero andare d’accordo, che si sbagliava. La stilista romana ha infatti sin da subito utilizzato la sua influenza nel settore per dare una voce forte e potente alle donne nonchè denunciare le discriminazioni che ancora oggi affliggono il genere femminile.

«Oggi più che mai, il femminismo è una consapevolezza, di uomini e donne, che deve essere parte naturale nel modo di affrontare il mondo. […]Credo che la moda sia un’arma potentissima per dare forma a un messaggio positivo e farlo arrivare a tutti. Così sfrutto questo straordinario potere comunicativo per far arrivare il mio messaggio e creare una rete di pensieri e azioni tra donne a tutti i livelli. Per me oggi il femminismo è prima di tutto uguaglianza, attivismo, orgoglio, condivisione». Questo il messaggio che la Chiuri, nella sua intervista dell’anno scorso con Il Messaggero, vuole mandare ad altre stiliste e stilisti che, come lei, hanno il potere di servirsi della

risonanza che la moda ha nel panorama sociale per «amplificare la forza della donna e renderla comprensibile a un vasto pubblico». Ed è esattamente quello che “l’Italiana sul trono di Francia” ha fatto sin da quando, nel 2016, ha iniziato a rivoluzionare una storica maison francese a colpi di femminismo. Vediamo come.

Dopo aver ispirato milioni di Instagram Stories ed essere comparsa nei profili di influencers e stars di Hollywood – Rihanna e Chiara Ferragni, solo per citarne alcune – la famigerata white t-shirt ha dato il via alla moda degli slogan femministi che, come sempre accade, è poi inevitabilmente arrivata alle

catene del fast-fashion, spegnendosi del tutto. A quel punto ci si è chiesti: non sarà questa la prova che la moda non potrà mai essere altro che una mera mercificazione di movimenti culturali, i quali non potranno mai, per natura, essere ridotti a semplici slogan stampati su una maglietta? Maria Grazia Chiuri non la pensava così. Da allora infatti la sua moda è stata una vera e propria fusione tra arte e femminismo, un’esaltazione della cultura più che del genere, un tentativo più maturo e meno commerciale di promuovere gli ideali che quasi ridicolizza la superficialità dei primi slogan.

La Paris Fashion Week del 2018 è stata, per la Chiuri, l’occasione perfetta per celebrare l’inizio di questa transizione: sottili e numerosi i riferimenti a figure femminili, da sovversive, come la surrealista argentina Leonor Fini, a intellettuali, come la storica dell’arte americana Linda Nochlin, da cui la frase “Why have there been no great women?” stampata sulla famosa t-shirt a righe; per non parlare dello stesso set della sfilata, commissionato a Bianca Pucciarelli Menna, artista prima conosciuta sotto lo pseudonimo di Tommaso Binga, usato come critica all’emarginazione delle donne nella società moderna. Ma non è finita qui: da allora, Dior ha dato il via ad una serie di sponsorhips di eventi culturali come la mostra Il soggetto Imprevisto. 1978, Arte e Femminismo in Italia, incentrata sulla demistificazione degli stereotipi di genere. Dior non è mai stato così politically active come sotto la direzione della Chiuri.

In questo contesto, lo show del 26 Febbraio rappresenta il culmine del “Chiuri-pensiero”, a cui nemmeno il clima inquieto da Coronavirus è stato di ostacolo: una collezione di stampo autobiografico che urla “Femminismo” da ogni lato. Scritte al neon a citazione del manifesto femminista di Carla Lonzi e l’iconico slogan “I Say I” sono un inequivocabile invito a riflettere, una potente affermazione di ciò che la donna può essere, un monito al potere che la moda ha di farci approdare alla cultura e di esaltare le conquiste che, negli anni, hanno rivoluzionato la vita di ogni donna e che, pertanto, vanno difese a tutti i costi. Chiuri ha dato il via ad una rivoluzione del concetto di moda: non più solo moda, ma un vero e proprio strumento politico.

Elisabetta Sagretti