“Durante la mia infanzia e adolescenza ho avuto un rapporto conflittuale con la cravatta, fino ai 18 anni non sentivo di doverla indossare eccetto che per rare occasioni, la consideravo una cosa troppo impegnativa. Ho cominciato con le prime feste di compleanno e adesso fa parte di me.” Se non fosse che il protagonista della nostra intervista faccia di cognome Marinella, queste parole non avrebbero un suono così contraddittorio. E invece, Alessandro, giovane 23enne, ha scoperto e apprezzato il fascino dell’accessorio che ha conferito notorietà in ogni angolo del mondo al suo cognome soltanto raggiunta la maggior età. Un cognome che non ha bisogno di presentazioni e che fa rima con magia, perché raccoglie una tradizione che vede la luce 104 anni fa in Riviera di Chiaia a Napoli, in un sud totalmente anacronistico rispetto a quello martoriato dei nostri giorni. Ma la tradizione comincia con 20 mq di negozio e il suo core business, almeno in partenza, è la camicia, soltanto successivamente viene introdotta la cravatta. Era il 1914 e nonno Eugenio non poteva immaginare che quella bottega sarebbe diventata meta turistica visitata da chiunque toccasse terra partenopea. Maurizio, oggi al timone dell’azienda, lavora duro e le soddisfazioni incombono; “il primo testimonial è stato Cossiga ma la vera sorpresa è stata metterla al collo anche a James Bond 007 nel film Skyfall”. Si potrebbe pensare che un brand nasca e voli da solo dopo tanti anni perché ben sedimentato nell’immaginario collettivo, tuttavia, Alessandro ci svela che suo padre è il primo ad arrivare in negozio e l’ultimo ad uscire, risponde sempre al fisso e non esistono intermediari. Una passione contagiosa, di quelle che danno senso all’esistenza, soprattutto quando fa il paio con la storia della tua famiglia. Il nuovo esponente di casa Marinella è un ragazzo gentile, preparato – ha conseguito la laurea in economia aziendale a Napoli e ha saputo captare quando doveva mettersi in discussione e preparare la valigia, sbarcare a Londra e imparare da chi gli affari li mastica anche a colazione, oltre che migliorare l’inglese. Oggi Marinella è tra le aziende nostrane più conosciute e considerate al mondo, la sua cravatta è stata esposta al MoMA di New York tra i 111 oggetti più rappresentativi degli ultimi cento anni e, probabilmente, il segreto è proprio l’umiltà e l’entusiasmo che i padroni di casa mettono in tutto ciò che fanno. “Ho avuto libertà di scelta”, e quando Alessandro mi racconta del tè con la Regina a Buckingham Palace i suoi occhi sono ancora increduli. Il ritratto di una famiglia che non ha mai voluto tradire le sue origini ma ne ha fatto un punto di forza. Marinella jr. sa già perfettamente cosa (non) deve fare. In sintesi, la mela non cade mai lontano dall’albero.
Alessandro, con te abbiamo la quarta generazione di casa Marinella. La tua è stata una tappa obbligata o una scelta dettata dalla passione?
“Sicuramente è stata una scelta dettata dalla passione, mio padre si è sempre dedicato al lavoro con grande gioia, è stato un vero e proprio esempio per me. Sebbene facesse e fa tutt’oggi orari incredibili, dalle 6:30 del mattino alle 13:30 e dalle 15.00 alle 20.00, non l’ho mai visto scontento, quindi da piccolo riuscivo a cogliere il suo entusiasmo contagioso che mi trasmetteva quando rientrava a casa. La passione che mette nel suo lavoro viene compensata dalle enormi soddisfazioni che riceve; c’è da dire che da bambino non potevo rendermi conto e captare quanta fatica si celasse dietro a ogni traguardo ma ne sono sempre stato affascinato. Ricordo che entravo in negozio, in un ambiente sereno e mi sentivo a casa, mi ha sempre ispirato quell’atmosfera. Ovviamente ho coltivano anche altri hobby, come la cucina e il tennis, ma non ho voluto trasformare queste passioni in lavoro. Devo riconoscere, inoltre, che non è stata affatto una scelta obbligata perché mio padre mi ha sempre incoraggiato nel fare ciò che mi rende felice. Ho avuto libertà di scegliere ed io ho scelto col cuore.”
Avete insegnato un mestiere, messo a disposizione le vostre sarte tra le mura del carcere di Pozzuoli, significa che l’azienda è attenta al sociale o sbaglio?
“Premetto che l’idea è nata solo ed esclusivamente per un’opera di natura sociale, l’obiettivo di questa operazione è stato quello di istruire le detenute del carcere femminile di Pozzuoli insegnando loro l’antico mestiere del sarto, e con noi hanno partecipato anche altri brand di abbigliamento. Abbiamo messo a disposizione le nostre sarte affinché scontata la pena, le donne in questione, avrebbero potuto trovare lavoro in questo ambito. Oggi più che mai scarseggiano le figure dell’artigianato tradizionale mentre un tempo le detenute cucivano i bottoni delle divise della polizia penitenziaria. Sottolineo che noi non vendiamo i prodotti che se ne ricavano, abbiamo soltanto messo a disposizione le nostre risorse per istruire. Ci siamo messi a servizio per insegnare un mestiere che si sta perdendo. Abbiamo subìto anche delle critiche, è un argomento delicato, preciso che non abbiamo assunto nessuno, lo definirei un corso di formazione oltre le sbarre.”
Tu sei giovane e come tale mi chiedo come si può avvicinare il mondo dei ragazzi al fascino gessato della cravatta.
“Tanti anni fa Gianni Versace ha fatto una vera e propria guerra alla cravatta, da quel momento abbiamo cominciato a produrre anche altri articoli, per un periodo infatti la indossavano soltanto persone di una certa età. Per fortuna, però, la moda è ciclica, adesso vanno gli occhiali anni 60-70. In questo periodo si sta creando una sorta di “dandysmo”, manifestazione esemplare è il Pitti, la cravatta infatti viene utilizzata anche dai più giovani in diverse occasioni, è un accessorio che non tramonta ma resta protagonista. Ricordate le bretelle? Per un tot di tempo sono andate nel dimenticatoio, adesso invece stanno tornando. Inoltre, la cravatta non ha mai perso il suo aspetto e ruolo, delinea formalità; perfino Zuckerberg ha tolto la classica polo e si è presentato a dibattere la sua causa più importante con la cravatta.”
Cosa hai provato quando hai ricevuto l’invito per un tè a Buckingham Palace con la regina Elisabetta?
“Era il mese di maggio dello scorso anno, devo premettere che ad aprile vennero Carlo e Camilla d’Inghilterra in negozio a Napoli – abbiamo organizzato tutto tramite ambasciata, era super blindato – dopo qualche tempo arriva un invito a casa per me e per mio padre per un tè party con la Regina. Non ti nascondo che vedere Buckingham Palace, passeggiare tra le sue stanze, respirare odori e umori è stato molto emozionante. Inoltre durante la cerimonia la Regina ha reso omaggio alle vittime scomparse a causa dell’attentato avvenuto pochi giorni prima facendo una passeggiata e parlando con le famiglie delle vittime. Penso che sia difficile da descrivere, è stato più di quanto potessi immaginare; prendere il tè alle cinque del pomeriggio con la Regina a Buckingham Palace resta di sicuro tra i ricordi più belli.”
Come vi siete espansi sul territorio nazionale?
“Premetto che fino a una ventina d’anni fa l’unico negozio era quello di Napoli tant’è che avevamo avuto un riconoscimento, piazzandoci al secondo posto, stando a una classifica mondiale, come maggior fatturato per minor metri quadri di negozio. Il negozio storico misura 20 mq da circa 104 anni sebbene successivamente ci siamo espansi anche al piano superiore con uno show-room e, di conseguenza, i mq sono aumentati. In seguito abbiamo aperto altri due negozi a Milano per poi giungere a Roma, nella capitale. Siamo sbarcati anche in un contesto internazionale; dapprima a Londra, poi in Giappone con due negozi che stanno andando molto bene e adesso ci stiamo espandendo a livello outside in America, Francia e Spagna. Tra le varie operazioni una decina d’anni fa abbiamo acquistato una stivaleria di Milano dal nome Stivaleria Savoia e questa notizia ha fatto scalpore perché non capita spesso che un’azienda di Napoli, del sud Italia, acquisti un brand con tradizione meneghina”.
Il vostro negozio a Napoli ormai è meta turistica…
“E’ vero, infatti per i 100 anni di attività abbiamo organizzato un’esposizione e creato una sorta di museo che ripercorreva tutti gli anni di Marinella tra le fantastiche mura di Palazzo Reale. Visto il successo dell’iniziativa abbiamo replicato lo stesso museo al secondo piano del nostro palazzo e oggi vi sono visite guidate, i tour operator ci chiedono di portare turisti curiosi di visitare e toccare con mano la nostra storia”.
Siete finiti addirittura al MoMA di New York
“In onore di una mostra che esponeva i 111 oggetti più rappresentativi degli ultimi cento anni e tra questi c’era anche la nostra cravatta. Grande soddisfazione anche perché rappresentavamo in qualche modo la nostra nazione essendo gli unici italiani presenti.”
Sappiamo che l’avete messa al collo proprio a tutti, da Cossiga a James Bond in Skyfall 007.
“Esattamente, devo dire che con Skyfall non c’è stata alcuna richiesta particolare ma sono giunti in negozio dei signori per fare acquisti, soltanto successivamente ci hanno comunicato che se avessimo voluto, quelle cravatte, sarebbero finite al collo di Daniel Craig nel nuovo 007 Skyfall. Ovviamente siamo rimasti molto contenti, inoltre nella scena iniziale del film, quando 007 viene sparato e cade si intravede l’etichetta. Una bella soddisfazione.”
Ma è vero quel che si dice, ovvero che Berlusconi ha ordinato troppe cravatte per Natale?
“Berlusconi ha ordinato tantissime cravatte per fare regali di Natale, considera che noi abbiamo scatole regalo che possono contenere o una sola cravatta o tre cravatte. Per Berlusconi abbiamo dovuto creato scatole che ne contenevano 6. Avevamo a disposizione soltanto una ventina di sarti, i quali di norma riescono a creare circa 150 cravatte al giorno. In quel caso non riuscivamo a soddisfare la richiesta. Si è venuta a creare una specie di asta a ribasso tra mio padre e il Cavaliere e alla fine si è giunti a un punto d’incontro. Siamo riusciti ad accontentare tutti.”
Alessandro tu sei l’innovazione nella tradizione; come pensi di portare avanti questo bel bagaglio affettivo e culturale che ti è stato tramandato?
“La peculiarità della nostra casa è che se si chiama in negozio a Napoli risponde mio padre, non esistono intermediari, lui è sempre in prima linea, cosa che per un brand che si sta sviluppando sempre di più nel mondo è molto alquanto peculiare. L’iter non è facile, bisogna partire dal backstage, da dietro le quinte, per poi approdare in parte amministrativa e successivamente, alla fine del percorso, si arriva davanti al cliente; ulteriore peculiarità perché di solito si parte davanti e infine si giunge in amministrazione.”
Come te la cavi dietro al bancone?
“Devo dire abbastanza bene, mi piace avere a che fare con le persone, l’approccio cambia da cultura a cultura, ad esempio in Giappone è più difficile mentre nel nostro paese diventa tutto naturale.”
Ci racconti un aneddoto che custodisci nella tua memoria?
“Qualche mese fa ero a New York e ho incontrato il direttore di una nota testata giornalistica americana che rispose a una nostra domanda fornendo un consiglio che custodisco: il paradosso di questi tempi è che il mio giornale viene letto sia da chi ha combattuto la seconda guerra mondiale sia dai ragazzi che si stanno affacciando al mondo del lavoro. L’obiettivo è trovare una via di mezzo, un compromesso che possa soddisfare entrambe le parti. E’ proprio quello che vorrei fare anch’io, abbracciando tradizione e innovazione. Il mio obiettivo è dare un’immagine differente, al passo coi tempi, lasciando intatta la tradizione. Senza le radici l’albero cade.”