Nel mese di febbraio son poche le cose che riescono a regalare alla città di Milano un momento di brio e dimenticanza dagli affanni che il grigiore e la solita routine impongono. Stiamo parlando dell’evento più atteso e chiacchierato non soltanto nella nostra nazionale, ma in ogni angolo d’Europa. Un evento al quale tutti gli esperti del settore, ma anche coloro che in realtà fingono di prendersi troppo sul serio per provarne interesse, rispondono al primo squillo. Per chi non lo avesse capito stiamo parlando della Fashion Week 2017, la settimana della moda, tutta Made in Italy, quello che conta e che ci fa onore dagli States al Mozambico.
Possiamo personificare l’evento e parlare della signora Moda che, quando irrompe nella città italiana più internazionale che esista, il capoluogo meneghino, non c’è manifestazione o sciopero che riescano a fermarla. La percezione è assoluta e immediata, il traffico congestionato, ci troviamo davanti ad un tripudio di pellicce colorate che sfilano per tutto il quadrilatero, i giapponesi si moltiplicano e i social impazzano al suono degli hashtag creati ad hoc. Tuttavia, dopo questa breve descrizione, ho intenzione di rendervi partecipi di un happening al quale ho avuto il piacere di partecipare.
In una stranamente mite domenica milanese, datata 26 febbraio, con un sole che invoglia a pensare alle gite fuori porta e a conservare i Moonboot si è consumato un evento ormai collaudato nel panorama glamour milanese. Giunto alla nona edizione, il Binf Fashion Show ha visto come ogni anno sfilare, su una delle passerelle più prestigiose della città, cinque brand, cinque storie, cinque stilisti e designer emergenti pronti a mostrarsi davanti agli occhi di critici, stampa e affini. L’idea geniale nasce da un progetto di Davide Gambaretto, , che offre servizio di talent scout verso chi uscito dalle scuole di moda fa fatica ad imporsi nonostante una grande inclinazione.
Nella bellissima struttura di uno dei locali più blasonati della metropoli, il MiB, all’angolo della piazza più ricca d’Italia – quella degli Affari – facciamo un passo indietro e sono le ore 20.00 quando l’ingresso, presieduto da due bodyguard alti e robusti ma con lo sguardo buono, improvvisamente si apre. La prima impressione è determinata dalla scelta dei colori, il grigio e marrone con tonalità a scala che rendono l’atmosfera elegante ma allo stesso tempo rilassata. Tutto è curato nei minimi dettagli, dalle disposizione delle poltroncine all’assegnazione dei posti a sedere. Qualche minuto d’attesa, la sala è gremita di gente, flash, dirette social, chiacchiere, baci e saluti pronti a coprire i minuti vuoti che precedono l’inizio dello show. Ma dopo qualche secondo una voce metallica spiega e presenta la natura dello stilista che darà il via alla sfilata. Ci troviamo di fronte a personalità diverse che con i loro gusti eclettici dovrebbero essere in grado di soddisfare tutti i palati, anche quelli più esigenti.
Costanza Gagliolo e Tatiana Timm sono un duo estroso e innovativo. Si presentano attraverso la sigla Mosayco, e la loro collezione, così come anche il loro nome, prende ispirazione da un viaggio con destinazione Barcellona durante il quale restano affascinate dal forte impeto di Gaudi e Picasso. Ne nasce un marchio destinato ad una donna giovane e grintosa, comoda ma allo stesso tempo elegante. Tratto distintivo e fondamentale dei capi presentati sono gli elementi tipici delle opere d’arte degli artisti poc’anzi menzionati, da interpretare come un ritorno alle origini.
A seguire, un altro talento made in Italy; nessun epiteto per Roberta Cenci, sceglie di obbedire alla propria natura e identità, restando fedele al suo nome e cognome. Donna che ha trasformato una grande passione, quella per la moda, in professione. La sua peculiarità è l’amore incondizionato per la sartoria classica ed una personalità artistica che va oltre le tendenze passeggere. Le calzature di Roberta posseggono caratteristiche uniche, come la presenza di gioielli luminosi e ricami pregiati incastonati tra di loro con forme non convenzionali e qualsiasi donna ne resterebbe folgorata.
Prima volta, invece, per la ticinese Ambra Danesi che durante un recente viaggio in Messico ha trovato la giusta ispirazione per coniugare e dar vita alle sue due “compagne di viaggio”: arte e moda. Intuisce e capta la sua essenza nel nome Bramas e ci presenta una collezione del tutto fresca e inedita. Propone capi d’abbigliamento femminili ispirati al bon ton anni ’50, assieme all’uso di tessuti naturali come cotone, lino e seta. Un debutto in alta società superato a pieni voti. Ebbene, se finora abbiamo parlato di talenti nati e cresciuti in Italia ora ci spostiamo in un’altra nazione.
Un passo indietro e facciamo un salto immaginifico in Albania, è il 5 maggio 1992, e quel giorno scandisce l’inizio di una storia, di un brand dal nome Mirela Nurce Couture – lo stesso della stilista – modificato in seguito con Tonni’86 in onore di suo figlio. Tratti distintivi i dettagli ricamati a mano e, dopo aver sfilato su passerelle internazionali come Austria e New York finalmente un esordio tutto italiano. Infine ma non meno importante risulta impossibile dimenticare la collezione Minavara, del tutto sorprendente. Partiamo dai colori; giochi di tonalità particolari come grigio ardesia e blu intenso che si sposano alla perfezione. Forme geometriche come trapezi, rettangoli che conferiscono libertà di movimento e comodità con l’intento di far respirare il corpo. Al team piace definirsi come avanguardisti a lungo termine, sicuramente viaggiano ad una velocità sorprendente.
Dopo aver esaminato brevemente i cinque brand presentati nella prestigiosa edizione dei Binf Fashion Show non ci resta che tirare le somme.
In un mondo in cui si cerca sempre di puntare su quello che già esiste ed è consolidato piuttosto che dar spazio al nuovo e ai giovani, Davide Gambarotto, grazie alla notevole esperienza, ricordiamo gli anni in Gucci con Tom Ford, alla capacità di ascoltare e analizzare ogni emozione, espressione o idea, riesce a proporre talenti che diventano nomi importanti a livello internazionale, ponendo una scommessa forse rischiosa ma che vincere è ancora più entusiasmante.
Possiamo definire questo percorso ormai una grande missione, ma dopotutto gli istinti e le passioni non si possono placare, l’estro non si pone freni né inibizioni e Davide, così come il suo progetto, è andato sempre più crescendo nel corso di questi anni trasformando un’esibizione in un appuntamento di prestigio, una grande opportunità. “E’ questione di vita o di… moda” probabilmente esclamerebbe se gli chiedessimo un commento sulle motivazioni che lo hanno portato fin qui, e dietro questa frase, mantra di vita, c’è tutto quello che serve per andare oltre ciò che il normale impone e lo straordinario afferma. Quanto a me, divoratrice compulsiva de Il Diavolo veste Prada e con una storia non così diversa da quella di Andy – la protagonista – devo ammettere che ho viaggiato sui binari dell’immaginazione. Non ho incontrato “Miranda Priestly”, ma questa potrebbe essere un’altra storia. Intanto ci diamo appuntamento alla prossima edizione. Io sono già pronta!