Si preannunciano tempi (ancora più) duri per l’economia globale. Il crollo vertiginoso delle borse asiatiche, che ha contraddistinto il Black Monday cinese dello scorso 24 agosto, ha avuto effetti devastanti sul sistema finanziario europeo: 411 miliardi di euro bruciati in poche ore e borse nel panico. Una situazione fuori controllo, che ha portato alla mente degli esperti la crisi finanziaria che colpì il continente asiatico nel 1997.
La causa, se si vuole individuare un colpevole, è da ricercare nella svalutazione dello Yaun operata dal governo cinese qualche settimana fa, quando la moneta nazionale della Repubblica Popolare è stata ribassata per ben tre volte, facendo perdere al conio il 4,65% del proprio valore. Le motivazioni del gesto, fornite dalla stessa compagine governativa cinese, sono da ricercare nel tentativo di rilanciare la crescita nazionale (riportando in alto le esportazioni) e di aiutare lo Yuan a diventare più elastico ai continui scossoni provocati dai mercati internazionali.
Una ricetta perfetta per un lunedì nero, attraversato in primis dalle borse asiatiche, e che ha avuto inevitabili ripercussioni sui mercati europei: l’indice guida Shangai Composite ha chiuso in ribasso dell’8,49%, l’indice principale della Borsa di Shenzhen, il Component, ha chiuso in calo del 7,83%. Il Chinext ha ceduto l’8,08%. Un dramma che in poche ore ha coinvolto tutto il mercato asiatico: la Borsa di Hong Kong, con l’indice guida Hang Seng, ha perso il 5,17%, le borse giapponesi, con l’indice principale Nikkei, ha perso il il 4,61%. In grossa perdita anche Taiwan (meno 4,8%) e la borsa australiana (che ha chiuso perdendo quasi il 4%, azzerando due anni di guadagni).