Cara Ministro Lorenzin,
Sì, uso il maschile perché tengo molto più alla lingua italiana che a inutili capricci femministi. Il femminismo, lontano da me come le gallette di riso da Adinolfi ma di cui non posso non riconoscere la totale disfatta degli ultimi giorni. Pare siamo passati da “l’utero è mio e lo gestisco io” a “in realtà l’utero è anche un po’ dello Stato quindi gentilmente vedi di farcirlo e prima che ti servano le creme antirughe”.
Ma veniamo a noi. Che tu non abbia frequentato l’università non è cosa nuova. E per carità, neanche grave. Pretendere che il Ministro della Salute abbia una laurea in medicina è insensato, iperbolico, non necessario. Certo, farebbe piacere che chi ha in mano il nostro sistema sanitario nazionale nutra una qualche competenza in materia anche solo vagamente scientifica, che abbia che so, avuto 9 in biologia al liceo, visto tutte le cassette di esplorando il corpo umano, vinto almeno per due cenoni di natale consecutivi all’allegro chirurgo contro la zia ipovedente. In realtà sarebbe bastata una triennale in marketing, che dico, un semestre in Cepu, un corso online, un tutorial Youtube, un album da colorare. Sarebbe bastato a farti capire che quella disastrosa campagna di comunicazione andava fermata almeno tanto quanto l’antico vaso portato in salvo. E al di là dell’immagine inaccettabile dei virili maschi alfa che mollano l’amaro Montenegro per il latte di soia ché l’alcol dimezza la loro fertilità, ti spiego il perché.
Il problema non è il velato richiamo neofascista alla procreazione, quel retrogusto propagandistico che fa tanto “I want you – and your tube di Falloppio”. Non è nemmeno il non aver pensato al fatto che una gravidanza, oggi, dura più di un contratto di lavoro, e che quindi per mantenere il pargolo l’unica sia prendere alla lettera quell’essere “bene comune” del nostro apparato riproduttivo, non so se mi spiego. Il punto non è neanche aver offeso tutte le donne sopra i 15 anni con l’immagine di quella clessidra tenuta in mano da una ragazzina che pare abbia esagerato con l’activia. Non è neanche aver banalizzato con orrende fotografie e imbarazzanti slogan un tema per tutti delicato e per alcuni drammatico. E no, il problema non è nemmeno aver ferito a morte le coppie che un figlio lo vorrebbero ma non riescono, quelle che con un aiuto della scienza riuscirebbero ma non possono permettersi le cure, o quelle per le quali la speranza si è accesa per poi spegnersi come i neuroni dei tuoi pubblicitari. Il tasso d’infertilità in Italia è al 30%. Ok. Ho letto un po’ di studi perché avevo la sensazione mi sfuggissero le drammatiche conseguenze di un basso tasso di natalità. A parte che più che un tasso basso dovrebbe preoccupare un tasso decrescente, per gli studiosi il primo problema è che viene a mancare la forza lavoro, il secondo che la nuova generazione, se meno numerosa, non riesce a pagare la pensione a quella precedente. A noi va di lusso: più che la forza, manca proprio il lavoro. La pensione non la vedremo neanche nelle nostre migliori fantasie erotiche, quindi perché turbarci?
Sai, cara Lorenzin, cos’è peggio di un popolo senza bambini? Un popolo senza libertà di scelta. Perché è solo questo il punto. Mettiamo da parte tutti i problemi del mondo. Facciamo finta che io sia fertile come una risaia, ricca, laureata, bellissima, senza malattie ereditarie, con un bel lavoro, case di proprietà, un cane, tre alpaca, un uomo fedele dal genoma ariano che vuole passare con me il resto della vita e per sicurezza un paio di pretendenti pronti a inseminarmi domattina. Ebbene, nonostante le ovaie ad anguria, l’utero a grammofono e la vita perfetta ho tutto il sacrosanto diritto di scegliere di non avere figli. E posso farlo per mille motivi: sono una stronza egoista che vuole pensare solo a sé finché campa, ho un enorme complesso d’inferiorità per il quale non mi sento all’altezza del ruolo, temo che i rigurgiti notturni incrinino la mia attività sessuale, non mi sento abbastanza paziente, saggia, comprensiva, generosa, preparata per l’amore incondizionato né per il sacrificio, non voglio far rivivere qualcosa che ho vissuto –perché se c’è una cosa certa è che un figlio non voluto lo capisce, che non era voluto– oppure ho semplicemente una tremenda paura. Di fallire, di invecchiare, di stargli sul culo, di perderlo, di soffrire, di deluderlo, che mi deluda, di sbagliare tutto. Che poi cresca come Renzo Bossi.
Qualunque cosa mi passi per la testa, tu, cara Lorenzin, che promuovi i genitori giovani e “creativi” senza pensare che da giovani si è soprattutto cretini, tu che esorti a “darci una mossa” perché “il rinvio alla maternità porta al figlio unico”, nota creatura a tre teste nefasta e mortifera, tu che in tutto ciò hai partorito due gemelli a 43 anni (perché tu forse sì, puoi permetterti le cure) e che intervistata te ne esci dicendo che almeno la campagna si farà ricordare, ecco, non hai proprio nemmeno l’ombra di un diritto a giudicare, a invitare, a consigliare. Semplicemente non ci devi entrare. Nella mia testa, nelle mie decisioni, nel mio utero. Che gestisco io, anche in uscita.