Dopo l’entrata ufficiale in uno stato di “recessione tecnica” in Agosto, l’economia del Bel Paese arranca anche nella sfida per la competitività. A riferirlo è la classifica stilata nel Global Competitiveness Report 2014-2015 redatto dal World Economic Forum – la fondazione nata nel 1971 per iniziativa dell’economista Klaus Schwab – in cui l’Italia, confermando il 49esimo posto su 144 paesi dello scorso anno, si attesta tra le economie più deboli d’Europa – peggio fanno solo paesi come Bulgaria, Romania e la Grecia.
Il rapporto – realizzato in Italia per conto del Wef da parte della Divisione Ricerche di Sda Bocconi – propone una valutazione della competitività di ciascuna economia attraverso l’utilizzo di una serie di indicatori – prevalentemente costruiti sulla percezione dei manager – che possono essere aggregati in tre macro-aree: «requisiti di base (istituzioni, infrastrutture, ambiente macroeconomico, sanità e istruzione di base); stimolatori dell’efficienza (alta formazione, efficienza dei mercati dei beni, efficienza del mercato del lavoro, sviluppo del mercato finanziario, sviluppo tecnologico, dimensioni del mercato) e fattori di innovazione e sofisticatezza (sofisticatezza del business e innovazione).»
Secondo il ranking l’Italia risulta debole nelle sezioni fondamentali, quali il funzionamento delle istituzioni (106imo su 144), la ridotta efficienza del mercato del lavoro (136ima), la pressione fiscale (134ima) e la criticità dell’attuale scenario macroeconomico (108ima), mentre si distingue per la sofisticatezza del proprio business (25ima) e le dimensioni del mercato locale (12ima).
«La lettura dei dati – affermano Paola Dubini e Francesco Saviozzi, i coordinatori dello studio – deve tenere conto del fatto che si tratta prevalentemente di dati di percezione, ma le criticità emerse sono reali e confermate da altre ricerche svolte a livello internazionale e devono quindi essere tenuta in debita considerazione». Da non trascurare è l’effetto che avrebbe avuto il «metro di paragone adottato in sede di valutazione». «Nel caso dell’Italia – concludono i due – il confronto con le economie più sviluppate può essere penalizzante e sono evidenti le aspettative di un rapido riallineamento rispetto ai benchmark di riferimento. Una lettura appropriata dell’indice è dunque quella che sottolinea le aree di forza e di debolezza di un sistema paese e gli spostamenti nel tempo, più che le posizioni assolute».