Da Mister a Ct: Ecco Come Si Diventa Allenatori di Calcio In Italia

“Mi assumo tutte le responsabilità tecniche”. Con queste parole, il CT Cesare Prandelli ha rassegnato le sue dimissioni direttamente dal Brasile, dopo la figuraccia della Nazionale italiana al Mondiale. Difficile dire se queste dimissioni siano un bene o un male per il futuro del “club Italia”, mentre è facilissimo riconoscerne l’inevitabilità: nel calcio, si sa, il primo a pagare è l’allenatore. Innanzitutto perché chi mette in campo la squadra è responsabile delle prestazioni di chi ha scelto di schierare e di quelle, potenzialmente migliori, di chi ha lasciato fuori, oltreché del modulo e dell’atteggiamento dei giocatori in campo. Oltre a ciò, l’allenatore è un singolo e quindi molto più facile da rimpiazzare rispetto ad un gruppo di giocatori. Ecco spiegato l’abbandono di Prandelli dopo il flop di Brasile 2014.

Si è così scatenato il solito “toto-commisario tecnico”, per scoprire chi guiderà la Nazionale verso l’Europeo di Francia 2016 ed il mondiale in Russia del 2018: come al solito, i nomi sono quelli di allenatori italiani, abbastanza esperti e, soprattutto, senza contratto, onde evitare costosissime rescissioni e lunghe contrattazioni sugli stipendi. I vari Mancini, Allegri e Guidolin sono pronti ad approfittare del “vuoto istituzionale” appena creatosi, per ricoprire una carica tanto onorevole quanto onerosa.

Ma, in Italia, come si diventa allenatore di calcio?

Certo, il sogno di ogni ragazzo è quello di giocare per la propria Nazionale, ma anche guidarla, scegliere chi ne onorerà i colori e curare i rapporti con i mezzi di comunicazione sarebbe un risultato non da poco. Ormai ad un tecnico non basta più essere un grande esperto di calcio, perchè dovrà essere anche un bravo motivatore, quasi uno “psicologo”, un comunicatore eccellente e, ovviamente, un abile stratega. Tutte competenze e qualità che ciascuno può costruirsi, specie in un’epoca in cui la formazione è ormai un percorso complesso e diversificato, orientabile in qualsiasi direzione.

Per cominciare, c’è bisogno di farsi le ossa nel proprio contesto: mettersi a disposizione di società calcistiche di provincia, magari proprio a partire dalla scuola calcio, per imparare cosa sia rapportarsi agli atleti (anche se giovanissimi), ma anche ad un contesto più o meno movimentato (dirigenti, sponsor, genitori, ecc.). Subito dopo questa fase introduttiva, c’è bisogno di affrontare i settori giovanili di squadre più strutturate, sia per proseguire la propria formazione tecnica e caratteriale, sia per mostrare le proprie capacità: in passato, hanno fatto così Marcello Lippi (CT campione del mondo nel 2006, ndr) a Viareggio e Carlo Ancelotti (tre volte vincitore della Champions League, ndr) a Reggiolo e Parma. A questo punto, si può ambire ad allenare una prima squadra professionistica, o almeno, come ha fatto anche Josè Mourinho ad inizio carriera, diventare assistente in un club più blasonato.

Tornando all’Italia, oltre all’attività sul campo, oggi servono dei corsi specifici coi relativi esami per diventare un allenatore, sia dilettantistico che professionista. Per rimanere nel settore giovanile (tranne la categoria Primavera, ndr) e dilettantistico, è sufficiente frequentare il primo livello del corso della FIGC – Settore tecnico, per il quale è sufficiente la Licenza media e grazie a cui si diventa “Allenatore di Base – UEFA B”. Questo corso è regionale e prevede un impegno di 4-5 ore al giorno per 5 settimane, prima dell’esame finale, con una parte teorica ed una pratica. Soprattutto è fondamentale sottolineare che il tesserino da Allenatore di Base – UEFA B è necessario, insieme ad un corso a livello nazionale, per poter ambire agli altri due, di “Allenatore Professionista di II categoria – UEFA A” e “Allenatore Professionista di I categoria – UEFA Pro”: per raggiungere la categoria più alta, è indispensabile aver ottenuto il tesserino per quella immediatamente inferiore.

Mentre un allenatore che rientra nella prima di queste due categorie può allenare fino e non oltre la Lega Professionisti Serie C, e quindi anche tutte le squadre giovanili e quelle della Lega Nazionale Dilettanti, i tecnici col tesserino di Allenatore Professionista di I categoria possono allenare qualsiasi squadra, dai settori giovanili alle Nazionali.

Eccoci tornati al punto di partenza. Se il Mondiale brasiliano ancora in corso è stato una disfatta per l’Italia, bisogna almeno sperare che da queste rovine sportive sorgano nuovi allenatori, che riescano a conciliare la tradizione calcistica del nostro Paese con le esigenze tattiche, atletiche e comunicative del calcio contemporaneo, per tornare al più presto al nostro posto, ovvero tra le prime Nazioni al mondo in campo calcistico.