Anche questo è andato. La corsa alla presidenza degli Stati Uniti d’America, giunta al secondo round, ha ormai preso le sembianze di una maratona estenuante, in cui i due rivali procedono a tentoni, maggiormente preoccupati a difendersi dalle accuse avversarie che a proporre qualcosa di concreto per la Nazione. Hillary Clinton e Donald Trump hanno dato vita, questa notte, al dibattito definito dai media americani come “il più brutto di sempre”. Come poterli biasimare. La formula del town-hall (il pubblico ha la possibilità di porre delle domande ai candidati) non ha dato l’accelerata necessaria affinché uno dei due tenesse le redini del confronto, portando entrambi a mantenere la discussione su livelli decisamente sotto lo standard richiesto, al limite dell’infantilità.
Doveva essere “l’Armageddon”, ma onestamente non ricordavo fossero presenti così tante scuse nella battaglia finale tra il bene e il male. Se nel primo dibattito a chiedere umilmente perdono fu la Clinton, per la storia delle e-mail classificate e poi cancellate, questa volta è stato il turno di Trump. Dopo le accuse di sessismo in seguito al video, datato 2005 e pubblicato dal Washington Post nei giorni scorsi, dove il tycoon affermava la possibilità di poter fare delle donne ciò che voleva, il candidato repubblicano si è giustificato etichettando tali affermazioni come semplici chiacchiere da bar. Traiettoria corretta e colpo rispedito al mittente, visto che, dopo essersi scusato, Trump ha attaccato Hillary sostenendo che altri presenti in sala (telecamere prontissime a inquadrare un serio e preoccupato Bill Clinton) avessero tenuto un comportamento ben peggiore con le donne.
I temi istituzionali toccati in questo dibattito sono stati i soliti: tasse, sanità, immigrazione e politica estera. La sensazione è che questi ultimi fungessero da cornice a qualcosa di più personale, dando l’impressione agli spettatori che il confronto non intendesse portarsi su livelli più alti. A farla da padrone è stata la logica del “quello che penso io è migliore di quello che pensi tu, perché io sono Hillary e tu sei Trump, o viceversa”.
La domanda che viene da farsi è: siamo sicuri che questo dualismo estremizzato e tendente al trash sia quello che serve a un’America uscente da otto anni di presidenza Obama? La risposta è soggettiva, ma la mancanza di proposte concrete inizia a essere evidente, come l’inidoneità di entrambi i candidati a un ruolo cruciale come quello della presidenza degli Stati Uniti.
Il terzo e ultimo dibattito, speriamo quello decisivo, si terrà il 19 di ottobre a Las Vegas. L’auspicio è quello di assistere a un confronto diverso dai primi due, caratterizzati esclusivamente da colpi bassi e accuse. Un confronto che sia diverso dal punto di vista dei contenuti e dell’atteggiamento dei protagonisti.