Poco dopo la fine di Bretton Woods, avvenuta nell’agosto del 1971, il segretario del tesoro americano John Connally fu inviato in Europa per riferire un’ambasciata pacata e affabile. Quello che Connally voleva dire, al di là del dovuto formalismo, e’ che siccome il dollaro era stata fino allora una valuta di riserva e cioè l’unico strumento globale di scambio, la fine di Bretton Woods non sarebbe stata un problema dell’America ma dei paesi (principalmente europei e Giappone) che detenevano dollari e che d’ora in poi avrebbero dovuto accettare un’anarchia monetaria imperniata sulla svalutazione e su costi energetici sempre più’ alti.
In altri termini, il concetto espresso era del tipo: la valuta è nostra ma il problema è vostro! Giova ricordare che l’accordo di Bretton Woods prevedeva la conversione dei dollari in oro al prezzo stabilito di 35 dollari l’oncia e l’introduzione di cambi fissi tra le principali valute e che alla sua disintegrazione si giunse a seguito delle costanti insofferenze europee nei confronti delle politiche statunitensi che avevano portato, soprattutto a causa della guerra del Vietnam, le passività ad oltre 70 miliardi di dollari a fronte di solo 12 miliardi di riserve auree.