Il Denaro Dietro il Terrore: Come Si Finanzia lo Stato Islamico?

Da qualche mese, anch’io figlia della generazione Erasmus, abito a Parigi ed ogni mattina, quando incrocio gli sguardi dei passanti mentre vado in Università, non posso non percepire due sentimenti chiari e distinti nei loro occhi: diffidenza e terrore. E allora mi sorge spontanea la domanda: come è riuscito un gruppo estremista composto inizialmente da poche centinaia di fanatici a finanziare gli attentati che hanno messo in ginocchio l’Occidente (e non solo)?

Dall’inizio della guerra civile in Siria finanziata e sostenuta nelle sue fasi iniziali anche dai servizi segreti americani, le fondazioni di carità islamiche del Golfo Persico hanno cominciato ad appoggiare i gruppi di opposizione islamisti ad Assad, nemico giurato degli Stati della penisola arabica. Un enorme flusso di denaro che ha arricchito anche le casse del gruppo di Abu-Bakr al-Baghdadi, lo sceicco-leader dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Se le donazioni tramite le banche islamiche sono state fondamentali nella prima fase dell’Isis, oggi il cash flow del gruppo islamista continua a dipendere (almeno parzialmente) dalla donazioni, che però – per esigenza di sicurezza – avvengono solitamente tramite metodi meno rintracciabili: i corrieri, le informazioni scambiate con applicazioni di telefonia mobile come WhatsApp e gli smartphones.

Tra i paesi sospettati di doppiogiochismo, spicca in prima posizione il Qatar che, pur facendo parte formalmente dell’alleanza anti-Isis, non ha ancora tagliati i flussi di denaro provenienti da donazioni individuali di ricchi petrolieri e principi del Paese. Uno studio del Washington Institute per il Vicino Oriente conferma questa ipotesi affermando: «Sono centinaia di milioni di dollari i versamenti compiuti da facoltosi uomini d’affari in Qatar e Kuwait a favore di al-Nusra e Isis».

Questa informazione, che in questi giorni sta facendo il giro di ogni social network, è stata riportata dal presidente russo Vladimir Putin durante il summit ad Antalaya, Turchia, affermando di avere prove di trasferimenti bancari secondi i quali gli jihadisti dell’Isis sono finanziati da persone fisiche provenienti da 40 paesi, tra cui anche membri del G20.