Il Sistema Bancario Islamico e il Divieto di Usura

Islamic-Finance

Conflitti ideologici, terrorismo, avversità culturali, immigrazione ed economia globalizzata sono le principali motivazioni di un progressivo intreccio culturale tra realtà contrastanti. La ricerca di trasparenza, la limitata speculazione, nonché la moralità di cui godono gli statuti bancari islamici hanno convogliato, negli ultimi anni, il flusso di investimenti del panorama europeo in una direzione “non convenzionale”.

Le raccolte di dati relativi agli andamenti finanziari manifestano, infatti, tassi di crescita negli investimenti che si aggirano intorno al 15%, consentendo previsioni addirittura ben più positive.

L’Islam è quindi uno stile di vita, una visione del mondo completa e complessa che trova la sua guida ed il suo perimetro nel libro sacro.” (Miglietta, 2009).

Oltre che insieme di principi di carattere teologico, il Corano, libro sacro dell’Islam, rivelato da Allah al profeta Maometto, racchiude le prescrizioni che ogni fedele è tenuto ad osservare per raggiungere la salvezza divina attraverso la Shari’ah, un minuzioso codice di condotta.

Una interpretazione della Shari’ah consente, prescindendo dalla mera condotta personale, di dedurre principi riguardanti la sfera economico-finanziaria islamica.

Viene così sancito l’assoluto divieto di interesse e usura, la proibizione di qualsivoglia forma di speculazione e il fondamentale principio della condivisione del profitto e del rischio ad esso correlato.

Scopo di un simile divieto è vietare l’arricchimento indebito del contraente più forte a scapito di quello più debole.

Il creditore non viene, infatti, considerato come tale, bensì come una sorta di socio, che investe in un’impresa proprie risorse, assumendo, dunque, su di sé il rischio che ne deriva.

Si individua in questo modo una serie di attività che sono rigorosamente proibite tra le quali il gioco d’azzardo, i profitti generati da distribuzione di carne suina, la produzione di tabacco, l’alcool, la produzione pornografica.

Primaria conseguenza moderna di questo ideale è l’impossibilità morale per gli Stati di religione islamica di accettare qualsiasi genere di prestito internazionale, ad esempio, della Banca Mondiale, in quanto sottoposto ad interesse.

In questo complesso sistema, la banca islamica assume il ruolo di gestore di fondi, di attività, di progetti, dei quali si configura anche come una sorta di distributore.

Essa agisce secondo un modello predominante: conti d’investimento nei quali il depositante non beneficia della protezione del valore nominale di quanto versato, e la cui remunerazione consiste in una partecipazione ai profitti della banca e ai progetti da essa determinati.

La banca islamica, accanto a questo metodo di raccolta dei fondi, prevede anche conti correnti (“Wadia”) il cui capitale è garantito pur senza riconoscere alcun tipo di remunerazione.

Il mondo occidentale, eccetto la realtà francese e britannica, sembra non recepire la potenzialità di un simile mercato.

Unica considerevole eccezione, infatti, in questa diffidenza generalizzata che ha segnato il processo integrativo dei sopracitati modelli nei nostri sistemi giuridici, è costituita dall’Inghilterra, dove governo e istituzioni, da ormai decenni, si sono mossi direttamente, intervenendo anche attraverso modifiche legislative non indifferenti, al fine di favorire l’insediamento di istituti islamici che fossero pienamente integrati all’interno del proprio sistema.

Per quanto, invece, riguarda la situazione italiana, il numero di individui musulmani ammonta a circa 1,5 milioni, valore destinato quantomeno a raddoppiare entro il 2050. Nonostante la cifra non sia esigua, allo stato attuale delle cose, il fenomeno della finanza islamica è praticamente assente nella nostra Nazione, fatta eccezione per qualche società, non molte in realtà, che opera in campo assicurativo e in quello dell’investment banking.

Ricapitolando, per quanto attraverso modalità differenti, la banca islamica persegue le medesime modalità di lucro, raccolta di risparmio e concessione del credito delle banche tradizionali.

Da questo punto di vista, la differenziazione da un istituto occidentale si manifesta, non tanto a livello operativo, quanto relativamente ai prodotti offerti e alle metodologie di remunerazione.

La situazione in cui versano i fatti, alla luce delle travagliate relazioni internazionali più recenti, dei congressi straordinari dovuti al dilagante stato di allerta, si manifesta in un diffuso e palpabile sentore di pericolo imminente.

Si constata dunque come ad un così anacronistico disinteresse, italiano in primis, corrisponda in realtà un immenso potenziale latente e ancora inespresso.