È stata inaugurata lo scorso 19 ottobre a Milano, per essere esatti alla Fabbrica del Vapore, l’esposizione The Art of the Brick dell’artista americano Nathan Sawaya. La mostra, inserita dalla CNN nella Top 10 delle mostre globali più seguite, è costituita da opere completamente costruite da oltre un milione di mattoncini LEGO.
Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Fabio Di Gioia, curatore della mostra, che ci ha svelato aspetti del carattere di Nathan ancora sconosciuti e ci ha trasmesso la passione che lui stesso nutre per l’arte e la creatività.
Come la mostra si approccia al contesto culturale di Milano? Perché Nathan Sawaya ha scelto proprio la città meneghina come luogo dove esporre le sue opere?
“Milano è una città estremamente attiva e che possiede senso del fare. Milano corrisponde un po’ a Nathan, un newyorkese, un avvocato che ha lasciato la sua professione per darsi all’arte. Sawaya è stato particolarmente bravo perché, oltre a trasmettere emozioni attraverso i mattoncini LEGO, è riuscito a rendere la sua passione un lavoro a tempo pieno, una carriera artistica a tutti gli effetti. Milano è una città che cerca sempre di parlare nuovi linguaggi nell’ambito della creatività, dello stile, del design e della moda. Nathan ha allo stesso modo utilizzato i lego come un mezzo, un linguaggio per trasmettere un messaggio”.
La mostra è divisa in diverse sezioni. Quale secondo lei è la più interessante?
“Beh, sono tutte interessanti. Ovviamente lo dico da curatore, ho molto caldeggiato il fatto che arrivasse a Milano non solo la mostra tradizionale ma anche sezioni inedite. Perché dico tutte: perché in “Human Expression” le figure fatte di LEGO rappresentano a pieno ciò che noi proviamo, emozioni, sentimenti, quando vogliamo squarciare una tela per uscire da un ambito che ci è scomodo, quando cerchiamo di superare un ostacolo, quando siamo in preda alla disperazione, quando abbiamo dei problemi e vorremmo staccare la nostra testa dal corpo per alleggerirci. Perché ci sono straordinari esercizi di stile, dal punto di vista della struttura, dell’equilibrio: basti pensare alla ricostruzione fatta da Nathan dello scheletro di un dinosauro, lunga 6 metri e composta da 80 mila pezzi. Perché le reinterpretazioni di capolavori di altri artisti vengono rese vive da Sawaya: L’Urlo di Munch è un urlo che diventa tridimensionale, il protagonista del dipinto esce dallo sfondo. Ne Il Bacio di Klimt, i personaggi sembrano essere plasmati dal LEGO nonostante si tratti di materiale rigido. L’inclinazione della testa della figura maschile rende il bacio estremamente dolce. Perché c’è la maestria di chi è capace di restituire la realtà fabbricandola con dei mattoncini, con degli elementi rigidi e squadrati: è questo il caso della sezione “In Thesis”, realizzata in collaborazione con il fotografo australiano Den West. Nelle fotografie realizzate da West, in cui viene rappresentata l’America delle cartoline con grandi panorami, desolazione e solitudine, elementi costruiti in LEGO si confondono con l’ambiente. Infine, perché dal bambino all’adulto c’è un caleidoscopio di emozioni che colpisce sicuramente tutti”.
Riprendendo la sua ultima affermazione, le chiedo: sono più i bambini o gli adulti a rimanere colpiti dalla mostra?
“Ogni persona che visita la mostra, sia esso adulto o bambino, ha un piano di lettura diverso. Il bambino vede magari più l’aspetto della costruzione, quello che lui vorrebbe realizzare ma non riesce a fare, quindi si produce ammirazione e anche meraviglia. Invece l’adulto legge le opere attraverso la sua esperienza personale, la soggettività e l’emotività. Trovo tutto questo veramente straordinario: l’intera famiglia va a visitare la mostra, dal bambino fino al nonno, ma ognuno di loro la vede con occhi diversi”.
Qual è la differenza tra una semplice costruzione LEGO fatta da chiunque e le opere realizzate invece da Nathan?
La differenza sta nel fatto che curiosamente questo artista, fra tanti costruttori o “builders”, nome utilizzato dalla LEGO stessa, è riuscito a rompere tutti gli schemi, è penetrato in quello che è il linguaggio dell’arte. La costruzione in questo caso è funzionale all’arte, non fine a se stessa. Questa è la differenza.
Una parola in grado di descrivere The Art of the Brick.
Meraviglia. Entusiasmo. Creatività. Lascio a voi la scelta. Le persone escono dalla mostra con questi sentimenti addosso. Sentimenti che si riuniscono tutti in un’unica pulsione: la voglia di creare qualcosa.