Ci incontriamo in un bar grazioso ma informale, insolita combinazione perfino per Milano. C’è una via vai di gente e il mio ospite è in anticipo di cinque minuti. Arriva prima di me. Ha preso un treno di quasi due ore, ma lui è abituato a viaggiare. Viaggia per affari da Bassano del Grappa a qualsiasi capitale del mondo, appena intuisce qualcosa che possa fare al caso suo. Ha ventotto anni ma la sua corsa è iniziata quando, ancora minorenne, si è messo in testa che “doveva fare della sua vita così come si fa un’opera d’arte”, rispondendo soltanto al suono delle proprie idee e di un indomabile istinto. Ambizioso sin dalla nascita, ironico e sfacciato, in una situazione paradossale che racconterò soltanto a chi vorrà saperlo, ho conosciuto questo ragazzo alto e moro, dall’aspetto curato, gentile, e che nonostante la giovane età ha saputo creare delle attività di rilevanza internazionale. Resto subito affascinata dalle sue esperienze, e così, propongo un’intervista. Perché la curiosità è l’elemento che mi unisce a Jacopo Jay Cartoccio, accento veneto, occhiali polarizzati e un gatto del Bengala che porta al guinzaglio ovunque esso vada. Non voglio aggiungere altro, perché tutto quello che c’è da sapere lo scoprirete leggendo le sue parole, i suoi successi e le sue lacrime. La sua storia. Una storia che vale.
Come è iniziata la tua avventura imprenditoriale?
Ho cominciato a lavorare presto, sono sempre stato molto ambizioso e con una forte personalità. A scuola i professori mi consideravano particolare, avevo degli obiettivi ben chiari e pensavo da adulto. Ero ancora un ragazzino, 14 anni, e una grande passione per la musica quando mio padre, per farmi felice, mi comprò una console e diventai “Jacopo Jay” il deejay. Dopo tre anni di esibizioni, frequentando tanti locali del Veneto e della Lombardia intuii qualcosa: le serate in cui suonavo, dal mio punto di vista, non erano organizzate bene. Ho capito che mancava cura nelle pubbliche relazioni e l’attenzione spasmodica al dettaglio, che per il successo dell’evento è fondamentale. Dopo averci pensato qualche giorno giunsi ad una conclusione: basta suonare! mi metto in gioco, scendo in pista ed organizzo feste secondo il mio stile, private e di nicchia. E’ stato un momento importante perché i miei sogni hanno iniziato a prendere forma, così come il famoso spirito imprenditoriale che sicuramente covava dentro di me, ma che doveva ancora venir del tutto fuori.
Di cosa ti sei servito, quali strumenti hai utilizzato?
Per fare questo lavoro servono grande serietà, competenze a livello di gestione e innata predisposizione. Mi sono “servito” de un network di gente molto elevato che con il passare degli anni si è ampliato sempre più. Gli eventi erano tutti di prestigio, di lusso. Tuttavia quando i club mi chiamavano per fare serata come Pr non accettavo. Mi piaceva distinguermi come organizzatore di eventi, art director. Trovo siano due cose totalmente differenti. Creare un evento significa lasciare un’emozione che resta nel cuore di chi la vive.
Sono passati molti anni ma ricordi il primo evento che hai organizzato?
Certo, l’evento si chiamava “The Home of Luxury”, ero appena maggiorenne e affittai un bellissimo castello nel Veneto. Feci una festa per 150 persone, si pagava 50 euro all’ingresso, ambiente davvero di nicchia. Di lì a poco iniziai ad organizzare feste rinomate a livello internazionale; per il Casino di Venezia, per la Palazzina Grassi e avevo un network di gente che si muoveva ovunque io andassi.
Fino a pochi anni fa non mi sono servito dell’aiuto di nessuno, un team si costruisce col tempo, bisogna trovare persone con cui lavorare in sinergia, condividere le stesse idee e avere obiettivi comuni. Non è così facile, anche se oggi mi avvalgo dell’aiuto di ottimi collaboratori, ho partorito così tanti nuovi progetti negli ultimi anni che sarei pazzo se pensassi di poter gestire tutto da solo. In passato non riuscivo a trovare persone che riuscissero ad andare oltre l’evento in sé e capire che dietro c’era un obiettivo, un piano.
La tua vita lavorativa è legata molto anche alla città di Milano…
Certamente, frequentavo Milano e le sue feste già prima di iscrivermi all’Università, ho frequentato la facoltà di Comunicazione, media e pubblicità allo Iulm. Avevo le idee chiare, sapevo che il mio lavoro sarebbe stato questo. Tuttavia non mi sono laureato e lo dico perché voglio dare speranza a tutti quei ragazzi che oggi riescono o vorrebbero trovare strade alternative. E’ ovvio, dipende da quello che si vuole fare, un medico o un avvocato devono studiare e ottenere risultati brillanti per avere successo, insieme ad una buona dose di fortuna, perché senza di quella non si va da nessuna parte. Bene, vivevo a Milano ed avevo aperto uno studio in Via Lagrange, zona Navigli, di comunicazione ed eventi. Ho scelto, quindi, il lavoro e di credere sempre nelle mie idee anche se, devo ammettere, che senza un iniziale supporto economico non avrei potuto realizzare quello che ho fatto. Questo non significa essere per forza ricchi, ma mettersi nelle condizioni di trovare qualcuno che ti noti e creda in te, nel tuo progetto. Per fare impresa devi avere un qualcosa di innato, di indomabile, pertanto le situazioni sei tu a crearle. Non tutti possono fare il medico ed è la stessa identica cosa.
E poi cos’è successo?
Premetto prima di tutto che per dieci anni, tutto il periodo in cui ho organizzato grandi eventi, mi sono sentito dare del deficiente dalla gente, dagli scettici, coloro che giudicano, puntano il dito ma poi non fanno niente nella loro vita se non ciò che è ordinario. Invece avevo un piano preciso, che oggi si è venuto a concretizzare, ovvero raccogliere contatti, questi sono fondamentali se sai sfruttarli nel modo giusto il che non vuol sfruttare le persone. Tuttavia, così come dicono gli americani “se non fallisci almeno una volta non puoi diventare grande”, mentalità opposta purtroppo rispetto a quella tradizionalista italiana, mi sono ritrovato di fronte ad un vicolo cieco, ad una disavventura che non avevo considerato e in una serata ho perso quasi tutto quello che avevo messo da parte, i miei risparmi. Ho sempre rischiato, sulla mia pelle, ed ho sbagliato come in questo caso. Credevo di dire addio al mondo degli eventi e delle pubbliche relazioni ma a volte il destino ha più fantasia di noi.
Come ci si rialza e si affronta un momento così difficile?
Si prova molta delusione, rabbia e sconforto, in un primo momento pensi di mollare tutto perché in concomitanza a questa sventura lavorativa, e forse proprio a causa del forte stress, ho iniziato ad accusare anche problemi fisici che mi hanno destabilizzato e con cui ho dovuto fare i conti, perché vivevo una vita del tutto sregolata, non dormendo per oltre 48 ore e il mio fisico ne ha risentito. Io ho preso coscienza dei miei limiti, questo mi ha aiutato ad accettare anche la sconfitta e a rimettermi in gioco con ancora più grinta. Ancora una volta, essere al posto giusto nel momento giusto. Negli anni passati avevo imparato a gestire locali, grazie alla collaborazione con alcuni ristoratori a Bassano del Grappa. Mi sono ritrovato da solo a dover scegliere nome, disposizione e colore dei tavoli, una responsabilità immensa che mi ha fatto sudare tanto ma che mi è servita per quello che sarebbe accaduto successivamente.
Cioè, hai aperto un ristorante?
Un amico mi chiese di gestire il suo ristorante, appena aperto, nella provincia di Vicenza, sicuramente molto bello ed io mi rimisi in carreggiata ma non ero soddisfatto. Non lo ero perché mi trovavo a seguire un progetto non pensato e sviluppato da me. Per stare bene devo concretizzare le mie idee altrimenti non sono motivato. Ma casualmente ecco l’illuminazione; un giorno mi trovai per caso in in un’azienda di catene, bottoni e prendendo in mano quegli oggetti pensai: ecco il mio punto di partenza! Il prezzo era abbordabile e preso dall’entusiasmo decisi di studiare un brand, vendendo un accessorio che non tutti indossano ma che tutti avrebbero potuto comprare, realizzato con materiali di prestigio made in Italy ma facendolo pagare a poco prezzo. La mia tradizione familiare è legata al mondo della moda, abbiamo negozi d’abbigliamento da oltre tre generazioni, mio nonno e mia mamma hanno lavorato sodo per raggiungere i risultati che abbiamo ottenuto. Ed anche io avevo voglia di trovare la mia dimensione creando un brand che rispecchiasse la mia personalità, dal nome Chains_Italy e con la preziosa collaborazione della mia migliore amica, Alessia, oggi mia socia, una delle personal-shopper più importanti di Londra. Ho pensato da subito fosse la persona giusta poiché parla molte lingue, ha svariate lauree, è una tipa “smart”. Inoltre, a breve, il marchio verrà trasferito da Londra in Italia e non vedrà alcun cambiamento se non quello della promozione sul web e del supporto di strumenti come Instagram sul quale lavoro attraverso la scoperta di un algoritmo che riesce a targhettizzare i followers. Ma di questo ne parleremo più avanti.
Ti concentri su Chains ma allo stesso tempo torni ad organizzare serate in uno dei locali più esclusivi d’Europa…
Questo è merito del destino o forse mio, chissà… Siccome Chains è un marchio tutto italiano ed io credo fortemente nel made in Italy,, ho deciso di comprare delle vetrine in uno dei locali più esclusivi d’Italia e d’Europa, il Twiga Beach Club di Forte dei Marmi. Siamo entrati come sponsor e io ho iniziato a trascorrere le mie vacanze unendo l’utile al dilettevole nelle belle spiagge della Versilia. Quando un giorno, parlando con la direzione, con la proprietà, i quali avevano notato la mia presenza mi dissero, tra un bicchiere di vino e una Coca Cola: abbiamo il giovedì sera scoperto, te la senti di creare una tua serata? Restai basito, la mia vecchia professione tornava a bussare alla mia porta ma in un contesto totalmente diverso. Nessuna festa privata, niente club o gruppo di nicchia, dovevo creare un nuovo format e mettermi in gioco, come sempre. Dopo la mia disavventura capii che per raggiungere la nicchia bisogna prima arrivare al cuore di tutti, e abbracciare il commerciale, e fu questa la scelta vincente. Chains è un brand commerciale, le catene variano dai 40 euro ai 2000 euro in base alle caratteristiche, così come anche la mia serata dal nome un po’ sfacciato DOPE night Twiga, che ha raggiunto risultati che non mi sarei aspettato.
Qual è il format del giovedì del Twiga?
Ho portato una novità per il locale e anche per i suoi affezionati, il giovedì, alle porte del weekend, con musica hip-hop e reggaeton. Ingresso gratuito e ricordo ancora l’ansia della prima sera, quando alle 00.40 il locale era quasi vuoto e pensai di aver fallito ancora. Ma nel giro di trenta minuti c’erano 1500 persone, abbiamo raggiunto dei fatturati mai visti prima. E’ stata la mia rivincita.
Quali sono i tuoi progetti attuali e quelli per il futuro?
In seguito a questo evento ho deciso di fondare un’agenzia di comunicazione, la YES FUTURE – perché credo nel ruolo importante di noi giovani come costruttori di un futuro migliore – da cui far partire tutti i miei lavori. Ha una bellissima sede italiana in una palazzina storica stile liberty in Veneto e questo progetto sta funzionando anche perché curiamo la comunicazione dei miei lavori attraverso la scoperta di un algoritmo. Siamo stati i primi ad inventarlo ed è diventato un nostro strumento di lavoro e supporto nella costruzione di eventi, ma pure servizio che offriamo ai nostri clienti. Oggi c’è un controllo smisurato della popolarità su Instagram, che è sempre più importante in determinati ambiti, e allora ho cercato un modo per targhettizzarla, in base alle caratteristiche che può avere una persona o una ditta noi riusciamo a dare la giusta popolarità che si può suddividere in base ai paesi, età, etc. In pochi anni tutto il lavoro e i contatti che ho tirato su mi hanno aiutato a concretizzare i miei progetti.
Sembra che il lavoro sia la parte fondamentale della tua vita o sbaglio?
Assolutamente, trovo che nonostante le continue difficoltà e i rischi che un imprenditore si assume tutti i giorni, non avendo la certezza dello stipendio fisso, il lavoro sia da considerare come una passione. Oggi sono arrivato a collaborare con personaggi noti in tutto il mondo toccando diversi ambiti. Una frase che mi ripeto spesso è: “Se era grande quello che hai superato allora sarà immenso quello che raggiungerai!”.
Ti sei mai sentito attaccato: così giovane, così fortunato, così ricco…
Questa è una battaglia che porto avanti con ardore. Io provengo da una famiglia di grandi lavoratori, mio padre è nato in un contesto molto povero e da solo, con le proprie forze, è diventato uno dei più grandi istruttori di equitazione della penisola, invece la famiglia di mia madre vive della propria azienda; la moda è sempre stata la sua grande passione, ha iniziato a lavorare molto giovane ed ha preso in mano le redini dell’azienda attraverso un approccio innovativo e raggiungendo, di conseguenza, grandi successi.
Durante la puntata di Quinta Colonna che ti ha visto come ospite sei stato tacciato dal luogo comune “figlio di papà”…
Sicuramente sono stato aiutato ma questa non penso sia una colpa perché la mia ambizione è stata sempre quella di raggiungere un’indipendenza economica, infatti studiavo e lavoravo contemporaneamente ancora minorenne. Non contesto i figli di papà, le persone che arrivano da famiglie benestanti, non è certo un demerito, anzi, contesto invece chi non riesce, con i soldi che potrebbe sfruttare, a creare un business. Molti, comodi nella loro posizione agiata vivono sperperando soldi in serate, macchine, bottiglie. Io le serate le organizzavo, mica ci andavo per sballarmi! Mi sono inventato un lavoro. Infine non contesto neanche chi lavora nell’azienda di famiglia perché magari vuole portare avanti una tradizione, ma la mia storia, come avrete capito, è ben diversa. Noi giovani dobbiamo migliorare quello che abbiamo già. Ci sono tanti ragazzi che si lamentano poiché non c’è lavoro ma non fanno nulla per trovarlo sul serio. Tanti ricchi, d’altro canto, sputtanano la propria eredità ai quattro venti. Questo non va bene.
In chiusura un consiglio per chi vorrebbe fare impresa…
Per diventare imprenditori lo si deve volere ma soprattutto essere predisposti, essere diversi. Se nasci con una certa mentalità qualcuno ti noterà. Se nasci con una certa ambizione, con un pizzico di fortuna, riuscirai a crearti delle opportunità.
Per essere forte nel mondo del lavoro devi aver sofferto un po’ nella vita, devi essere sveglio, devi avere accumulato la giusta dose di cattiveria, quella positiva. C’è tanta competizione, è una guerra continua e a volte le battaglie si perdono. Ma, ribadisco, come dicono in America, se non fallisci non puoi diventare grande.