E’ buona prassi nel Day After di ogni tornata elettorale assistere al noto clichè che vede protagonista ogni partito: tutti vincitori, nessuno sconfitto. Farlo per queste Amministrative 2016 è compito ben più arduo: chi ha vinto è piuttosto chiaro, il Movimento 5 Stelle. Al Partito Democratico e al centrodestra tocca leccarsi le ferite.
Alla vigilia del voto Matteo Renzi era stato piuttosto deciso nel non volere attribuire alcuna lettura in ottica nazionale ad un voto locale; un po’perché è vero che si tratta di due elezioni distinte e separate (Berlusconi ha passato due decenni a soffrire il voto comunale salvo poi presentarsi sempre in grande spolvero alle elezioni Politiche), un po’perché probabilmente il Presidente del Consiglio sapeva in cosa poteva imbattersi il suo partito.
Escluse Bologna e Napoli, dove i candidati favoriti si sono imposti in maniera abbastanza netta, il voto espresso a Roma, Milano e Torino ci lascia interessanti spunti di riflessione.
ROMA: resta probabilmente la ferita aperta più dolorosa per il PD non tanto per il verdetto, piuttosto scontato, quanto per le dimensioni del divario conseguito. Con il suo 67,15% Virginia Raggi ha doppiato Roberto Giachetti e per farlo non si è neanche dovuta sforzare troppo: è bastato andare avanti costantemente con la retorica del nuovo che avanza contrapposto alla vecchia politica che ha ridotto la Capitale in macerie per ottenere oltre 770mila preferenze, contro le 336mila dell’ex radicale. Lo spessore politico di Giachetti ed una carriera nella pubblica amministrazione di alto livello – ed assolutamente specchiata – non sono bastati per evitare al PD un disastro che assume proporzioni ancora più rilevanti se si mette il voto di Roma a paragone con quello di Milano.
MILANO: è veramente difficile trovare esempi a livello europeo di una nazione che ha una discrepanza tale di voti per un partito – o movimento – nelle sue due città più importanti. Il Movimento 5 Stelle a Milano al primo turno si è fermato al 10%, il 67% della Raggi a Roma è stata una notizia che, fatalmente, ha fatto il giro del mondo. Questo significa che nelle città che funzionano e dove la politica dà delle risposte concrete i pentastellati incontrano delle difficoltà.
In questo senso però il voto nel capoluogo lombardo rappresenta probabilmente il canto del cigno di uno scacchiere politico destinato a scomparire, basato sul bipolarismo che ha caratterizzato la Seconda Repubblica che, nei fatti, non esiste più. La vittoria di Beppe Sala si può considerare l’unica vera vittoria di Renzi, non tanto per l’affermazione del PD quanto per il successo di un candidato che del Renzismo è la rappresentazione plastica: Mr.Expo, la sinistra del “si può fare” contro quella del no, il profilo centrista perfetto prototipo del partito della nazione. E Sala è riuscito ad imporsi, con molta sofferenza, contro una delle poche note liete, Stefano Parisi, di un centrodestra che ha bisogno di ricostruirsi completamente.
Prima del 5 Giugno c’era la convinzione generale che quello a Milano sarebbe stato il voto politico più importante a livello nazionale; in realtà lo è stato quello di Torino.
TORINO: Chiara Appendino, neo sindaco sotto la Mole, è stata probabilmente la novità più piacevole di questa tornata elettorale. Credibile nei contenuti ed elegante nello stile ha portato al trionfo il Movimento 5 Stelle sconfiggendo quel Piero Fassino diventato una volta di più oggi virale nel mondo social per le sue sventurate profezie.
Quello di Torino è in assoluto il voto più allarmante per Renzi: Fassino era avanti di quasi 11 punti percentuali al primo turno, è arrivato dietro di 10 al ballottaggio. Con tutto il rispetto per la Appendino, che ha giocato più che bene le sue carte, non si può non leggere in questo ribaltamento dell’esito tra primo e secondo turno un esempio del dove possono arrivare le opposizioni se fanno fronte comune. La candidata grillina si è imposta grazie anche e soprattutto ai voti della destra (Matteo Salvini ha dato chiare indicazioni di votare i candidati a 5 Stelle ovunque fossero contrapposti al PD).
Il referendum costituzionale di Ottobre è l’appuntamento della vita per la carriera politica di Renzi, sicuramente uno degli eventi politici più importanti di questo decennio: se vince il Sì cambia la stabilità dei governi italiani per come l’abbiamo conosciuta dal 1946 ad oggi, se vince il No si ritira dalla vita politica l’uomo che sembrava destinata a dominarla per più lustri. Per il Primo Ministro arrivarci con la vittoria del Movimento 5 Stelle in 19 dei 20 ballottaggi nei quali era impegnato e con l’esempio di Torino, dove i grillini e le destre uniti hanno sovvertito un esito che sembrava già scontato, rappresenta un’autentica spada di Damocle.