Il RasenBallsport Leipzig (o anche RB Lipsia) è una squadra di calcio nata nel 2009 su iniziativa della multinazionale austriaca Red Bull, che acquistò la licenza sportiva del piccolo club omonimo SSV Markranstädt militante in quinta divisione. Sette anni dopo, l’obiettivo prefissato della promozione in Bundesliga si è infine concretizzato lo scorso 8 maggio: a seguito della vittoria casalinga per 2-0 contro il Karlsruhe, l’RB Lipsia ha infatti conquistato matematicamente il secondo posto nel campionato di Zweite Bundesliga, la seconda divisione del calcio tedesco. A un mese dall’inizio dell’avventura nel massimo campionato, i vertici del club non si nascondono e promettono di riportare nella città sassone quel titolo nazionale che manca dal 1913. Ma non hanno fatto i conti con un piccolo particolare: li odia una nazione intera.
Dalle tifoserie più accese a quelle storicamente mansuete, da quelle antifasciste a quelle di estrema destra, in pochi anni l’RB Lipsia è diventata la squadra più invisa e antipatica di tutta la Germania. Non stiamo parlando del Bayern Monaco schiacciasassi, il cui dominio in termini sportivi e manageriali sembra inarrestabile e fuori discussione, ma di una squadra priva di storia e svuotata di ogni tradizione, rappresentazione esemplare del paradigma del calcio moderno. Bisogna dunque fare un passo indietro, analizzando passo passo la storia recente della società austriaca e di chi c’è dietro il successo dell’RB Lipsia: Red Bull.
Per un’azienda come Red Bull, che per promuovere il proprio prodotto impegna oltre il 30% del proprio fatturato in pubblicità e strategie di marketing content, dopo aver investito in televisione, radio, cinema, Hockey, sport estremi e Formula1 (dove ha conquistato 4 campionati del mondo Piloti e Costruttori), il passaggio al mondo del calcio era quasi obbligatorio. Dopo aver costruito dal nulla tre club calcistici in altrettanti continenti (i New York Red Bulls negli Stati Uniti, il Red Bull Brasil in Brasile e il L’Academy Red Bull Ghana in Africa), la multinazionale austriaca ritenne saggio investire soprattutto in Europa, rilevando l’Austria Salisburgo, club relativamente giovane (venne rifondato nel 1993 dopo aver cambiato più volte proprietà e nome) ma con un mediocre palmares. Red Bull rifonda nel 2005 il Salisburgo (che è anche la città in cui ha sede la multinazionale dell’energy drink), al quale cambia nome, colori sociali e stemma. Il successo è immediato: 9 campionati austriaci, 3 coppe e altrettante supercoppe nazionali, un ottavo e un sedicesimo di Europa League. I tifosi dell’Austria Salisburgo inizialmente non prendono bene la rivoluzione, ma il movimento legato alle tifoserie è debole e le proteste non ottengono seguito. Red Bull è tuttavia consapevole che la Bundes Austriaca è considerata un campionato minore nel panorama calcistico europeo e che l’appeal registrato non risulta considerevole. Il vero business deve essere fatto altrove, ossia confrontandosi con i campionati maggiori in Inghilterra, Spagna e Germania: Premier League, Liga e Bundesliga. L’occasione giusta si presenta proprio in Germania.
Con la riunificazione calcistica delle due Germanie negli anni ’90, il modello generale di governance del calcio nazionale è stato ridiscusso: le sezioni calcistiche professionistiche dei club sono state integrate in società per azioni esterne a responsabilità limitata, separate dal nucleo fondativo dei soci. La maggioranza delle quote delle Srl calcistiche, ovvero almeno il 50% + 1, secondo la legge, deve in ogni caso essere detenuta da associazioni registrate di soci dei club con potere decisionale sulla scelta e sulla nomina degli organi sociali. In questo senso, trovare una squadra disposta a vendere il proprio nome, i propri colori e dunque la propria ragione identitaria ad una multinazionale estera sarebbe stato alquanto difficile: le tifose si sarebbero pesantemente schierate a sfavore (cosa poi puntualmente avvenuta). La decisione di Red Bull fu quindi di inserirsi nel campionato tedesco rilevando un club pre-esistente.
Si decise di guardare ad Est, ammiccando a quei club che dopo la riunificazione erano sprofondati nei campionati dilettantistici. La prima società oggetto d’interesse fu la Dynamo Dresda, di gran lunga quella col maggior seguito, ma lo stadio piccolo e antiquato e una tifoseria troppo passionale (per non dire violenta) avrebbe fatto tutto tranne che stendere un tappeto rosso ai nuovi proprietari, spingendo Red Bull a rivolgere il proprio sguardo altrove. In particolare su Lipsia, che sembrò offrire quanto di meglio si potesse desiderare: uno stadio nuovo, moderno e sottoutilizzato quale il Zentralstadion (costruito nel 2004 per accogliere alcune gare del Mondiale 2006 in Germania), un ottimo bacino d’utenza potenziale, una buona tradizione calcistica cittadina e al tempo stesso la contestuale assenza di un club di alto livello, oltre che una città culturalmente vivissima e per questo turisticamente appetibile. Nel 2006 Red Bull tentò quindi di rilevare il FC Sachsen, la seconda squadra di Lipsia, reduce da alcuni anni di cattiva gestione e risultati deludenti. Le proteste dei tifosi, però, ne impedirono l’acquisizione e la multinazionale austriaca, su suggerimento del proprietario del Zentralstadion, virò le proprie attenzioni ai dilettanti del SSV Markranstadt. Analogamente ai rivali del FC Sachsen, per protestare il passaggio di società i tifosi del piccolo club arrivarono addirittura a spargere del diserbante sul terreno casalingo e distruggere i cartelloni pubblicitari Red Bull. Ma questa volta, Red Bull era intenzionata ad andare fino in fondo: oltre alla prima squadra del Markranstädt, Red Bull rilevò anche quattro squadre del settore giovanile del FC Sachsen. Poiché la Federcalcio tedesca vieta di inserire il nome di uno sponsor direttamente nel nome della squadra (a meno che non si tratti di investimenti a lunghissimo termine, come quello della Bayer a Leverkusen), il club venne furbescamente battezzato RasenBallsport Leipzig, laddove le iniziali RB coincidono con quelle del nome della proprietà. Simbologia ed identità visiva del club vennero invece costruite ricalcando fedelmente il brand della multinazionale: dal simbolo con i tori rossi al soprannome ufficiale, Die Roten Bullenœ, (I Tori Rossi).
La cavalcata del club è d’antologia, un’ascesa costante che non intende fermarsi: L’RB conquista subito la Regionalliga, poi la Oberliga in tre anni e infine la Zweite Liga, la serie B tedesca, fino alla promozione in Bundesliga quest’anno. Il presidente Dietrich Mateschitz, uno che sebbene preferisca il pragmatismo alle parole e alla luce dei riflettori, ha più volte pubblicamente parlato anche della possibilità di qualificarsi in breve tempo in Champions League e di vincere il massimo titolo nazionale, il Meisterschale. Probabilmente, Mateschitz non aveva messo in conto l’ostracismo di tutte le altre tifoserie tedesche contro l’RB , in particolare contro un progetto che, secondo loro, di sportivo ha poco o niente e sfrutta il calcio solo come veicolo economico e pubblicitario.
Le tifoserie organizzate di tutta la Germania si sono unite contro l’RB, dando vita alla campagna Nein Zu RB (No al RB). Oltre a far leva su tutto ciò che è caro ad un tifoso e che Red Bull sta svuotando di ogni valore (la tradizione, la storia, la passione e i sentimenti che solo un calcio trasparente e senza secondi fini può suscitare), parte della battaglia si gioca sull’interpretazione e la messa in pratica della norma che in Germania obbliga ogni club professionistico a rispettare la cosiddetta “Regola del 50+1” che, per evitare ingerenze esterne nelle amministrazioni societarie, prevede che almeno il 50%+1 della proprietà di un club professionistico sia in mano ad un’associazione di tifosi. Nel 2014, a seguito di alcune modifiche normative apportate dalla federcalcio tedesca, la struttura organizzativa dell’RB Lipsia è stata modificata, tanto che nel CdA e nel collegio onorario della società erano stati ammessi solo impiegati e/o agenti della Red Bull. Una palese violazione della norma a cui il club ha posto formalmente rimedio ammettendo le libere affiliazioni. In realtà l’RB infrange, anche se indirettamente, tutte queste norme poiché ha fissato il prezzo d’affiliazione a 800 euro (contro i 60 del Bayern ad esempio).
Qualcuno ha fatto notare come l’RB non sia il primo club calcistico europeo ad essere gestito e manovrato da una multinazionale, tant’è vero che altri club tedeschi sono di fatto proprietà di grandi aziende. Tuttavia, c’è un legame geografico tra le aziende e la regione in cui ha sede il club: gli uffici di Volkswagen sono a Wolfsburg, il gigante del software SAP ha sede a due passi da Hoffenheim ed è ad Ingolstadt che ha sede l’Audi, società principale finanziatrice della locale squadra di calcio. Tempi duri per l’RB Lipsia: il sogno di arrivare in Bundesliga si è avverato, ma l’accoglienza nelle partite in trasferta non sarà delle migliori.