Renzi come Cameron: Gioventù Bruciate sulla Via di un Referendum?

Sono passati appena due anni e mezzo dal 25 Maggio 2014: quella notte il Partito Democratico vinse le elezioni europee con il 40,8% dei voti (dato mai visto nella storia del partito), doppiando il Movimento 5 Stelle, che i sondaggi accreditavano di possibile vittoria, e aprendo la strada a quella che sembrava a tutti gli effetti una nuova era.

Quella sera, Matteo Renzi rimase in disparte: come il Josè Mourinho dei bei tempi in cui ancora vinceva, lasciò che a prendersi la gloria in conferenza stampa fossero i suoi alleati, il nuovo corso del PD, i rottamatori quarantenni dalla faccia pulita e soprattutto le Ladylike che a quel tempo andavano tanto di moda. Sembrava fosse l’inizio di un’ascesa inarrestabile: entrato a Palazzo Chigi dalla porta di servizio sembrava essersi preso l’Italia dall’alto delle sue convinzioni ispirate alla sinistra filosoficamente legata a Tony Blair: per vincere le elezioni i voti bisogna prenderli a destra.

E cosi ecco il Segretario di quello che tanto tempo fa era il PCI andare col giubbotto di pelle da Maria De Filippi, flirtare nelle ospitate televisive da Barbara D’Urso , “fare innamorare tutte le donne del PDL”, per citare Iva Zanicchi, e mantenere rapporti cordiali con Confindustria e il mondo dell’imprenditoria. Sono passati due anni e mezzo, dopo averlo visto salutare con gli occhi lucidi e la moglie Agnese al fianco domenica notte, sembra passato un secolo.

IL REFERENDUM, SPADA DI DAMOCLE DEI LEADER

David Cameron in Inghilterra sembrava destinato a marcare un’epoca: vince le elezioni del 2010 anche se obbligato a un governo di coalizione. Si impone con la maggioranza assoluta nel 2015 e di fronte a sé trova un leader dell’opposizione Jeremy Corbyn, che rappresenta la perfetta sintesi di tutto ciò che è stata la sinistra perdente nel Regno Unito. Aveva tutti gli elementi per superare nella longevità di governo uno dei suoi modelli politici, la lady di ferro Margaret Thatcher. Solo che per vincere le elezioni del 2015 Cameron promette di fare esprimere il popolo sull’uscita del Regno Unito dalla Unione Europea e il resto è già storia: la Brexit diventa realtà e Cameron esce dallo scenario politico britannico.

Responsabilità e destino politico nel parallelismo tra Renzi e Cameron si muovono in maniera asimmetrica: Cameron ha avuto la grave colpa, dettata dall’ingordigia della campagna elettorale, di sottoporre al popolo un quesito delicato senza che lo stesso fosse in tutti i casi pronto a esprimere un voto consapevole – “What’s EU? “ cercavano su Google gli Inglesi all’indomani della Brexit – e ha dovuto pagare un conto salato.

Renzi dal canto suo ha commesso l’errore più grave della sua carriera politica parlando di abbandono della politica in caso di vittoria del No al referendum. A quel punto tutte le smentite, i passi indietro, i cambi di approccio, l’ ”entriamo nel merito”, si sono rivelati inutili di fronte ad un voto inevitabilmente spostato sulla sua persona. È paradossale che a commettere un errore così dilettantesco sia stato un politico di razza che ha evidenziato nel corso dei 3 anni di governo proprio nelle scelte strategiche e nella politica alla House of Cards uno dei tratti distintivi e dei principali punti di forza (come nel caso della proposta del nome di Sergio Mattarella per la Presidenza della Repubblica, ad esempio).

IL FUTURO DI RENZI E L’ITALIA DEL DAY AFTER

Un’altra differenza sostanziale fra Renzi e Cameron è quella inerente al futuro della carriera politica: ieri notte il Presidente del Consiglio ha annunciato le sue dimissioni da capo del Governo, ma non ha fatto alcuna menzione circa il suo ruolo di Segretario del partito: logica impone che inizi un periodo portato avanti nell’ombra, lasciando a un’altra figura, che dovrà essere individuata dal Capo dello Stato, l’incombenza di portare avanti un governo di scopo per la legge elettorale che dovrebbe rappresentare il viatico per nuove elezioni che dovrebbero tenersi inevitabilmente nel 2017, in anticipo sul termine della legislatura che era previsto nel 2018.

Questa potrebbe essere l’ultima grande chance per Matteo Renzi per tornare il protagonista principale della scena politica italiana: svanire nel nulla per un po’, far vedere agli italiani quale potrebbe essere il futuro caratterizzato “dall’accozzaglia” per utilizzare un vocabolo divenuto celebre in questa campagna elettorale, sottoporre la minoranza interna del PD ad una riflessione su cosa potrebbe essere e su quanto si potrebbe incidere nella vita politica del paese senza la sua leadership. Per tornare alle prossime elezioni politiche da leader del centrosinistra, pensando che forse il 40% raggiunto dal SI la notte scorsa non è affatto da buttare via.