Fare irriverente, volgarità gratuite e pugno di ferro, non serve molto per delineare il profilo di Rodrigo Duterte, avvocato 71enne eletto nella giornata di lunedì Presidente delle Filippine. Eppure milioni di cittadini hanno individuato in lui la figura perfetta per ripulire un paese martoriato da omicidi, droga e corruzione. Il tasso di uccisioni è il più alto nel continente asiatico e l’11° più alto nel mondo, mezzo milione di armi senza licenza circolano in tutto l’arcipelago e l’abuso di metanfetamine è in continua crescita. Le dichiarazioni roboanti e carismatiche di Duterte sono state viste come un lume di speranza da un popolo ormai stufo della delinquenza presente su tutto il territorio.
Un lato comunicativo altamente discutibile dal punto di vista morale, appellare Papa Francesco come “figlio di puttana” non è esattamente una citazione definibile politically correct, ancor meno ironizzare su uno stupro avvenuto nel 1989 ai danni di una missionaria australiana. Le sue maniere rozze e decisamente poco signorili, hanno creato molto clamore internazionale, ma lui a testa alta e petto in fuori non ha mai azzardato un piccolo passo indietro, continuando a sostenere le sue idee di “pulizia” nelle Filippine. Per 22 anni è stato il sindaco di Davao City, più di un milione di abitanti addensati sulla costa Sud, considerata prima della sua carica una delle zone più pericolose di tutta la Nazione. Decenni di squadroni della morte assoldati da Duterte l’hanno resa, secondo un recente sondaggio, la quarta città più sicura al mondo: coprifuoco alle 22 per i minori non accompagnati, divieto di consumare alcolici in pubblico dopo l’una di notte e divieto assoluto di fumo nei luoghi pubblici, il tutto giustificato da dichiarazioni come “Sono disposizioni attuate per i nostri figli, in modo che siano in casa la sera e possano riposare in vista del giorno di scuola seguente”.
Anni di esecuzioni criminali gli hanno valso l’appellativo di “The punisher”, e per quanto fosse violento e vendicativo anche Frank Castle qualcosa di buono lo fece. I risultato portati a casa durante la sua carica come sindaco sono stati indiscutibilmente tangibili, il popolo delle Filippine intravede in Rodrigo Duterte l’autorevolezza e l’intransigenza che reputa fondamentali per uscire dal momento buio della sua storia. Citazioni come “Tutti voi che siete invischiati nella droga, voi figli di puttana, vi ucciderò. Non ho pazienza, non ho vie di mezzo, o mi ucciderete o vi ucciderò idioti”, pronunciate dallo stesso Duterte poche settimane fa vanno sicuramente contestualizzate in un paese dove il tasso di consumo di metanfetamine tra i 14 e i 18 anni è sconcertante.
Ossimoro vivente, più di una volta si è proclamato fiero donnaiolo e incessante consumatore di Viagra, eppure i gruppi attivisti per i diritti delle donne stravedono per lui. Durante la sua attività politica ha messo a punto sistemi mirati a migliorare le opportunità femminili al governo e ha sostenuto campagne di sensibilizzazione contro la violenza domestica. Curiosa anche la sua condanna contro la discriminazione alle comunità omosessuali, aprendo alla possibilità del matrimonio e supportando anche l’inserimento di omosessuali nelle forze armate, affermando pochi mesi fa: “Non avrei nessun problema nel caso mio figlio fosse gay, ognuno merita di essere felice”.
E’ indiscutibilmente una figura molto controversa, le sue parole sono più risonanti delle sue azioni, la sua strategia comunicativa è pessima come la sua retorica, tuttavia il popolo filippino lo ha eretto a “salvatore della patria” e solo il tempo potrà dargli ragione.