Il 2016 è stato l’anno in cui Gran Bretagna e USA sono state pervase da un forte vento di cambiamento, che ha portato con sé Brexit ed elezione di Donald Trump a 45esimo presidente degli Stati Uniti. Cambiamento che sarebbe auspicabile – seppur in termini diversi – anche per la Russia, che da alcuni anni attraversa una fase complessa, a seguito in primis della crisi del 2008 – determinata soprattutto dal crollo del prezzo del petrolio – e, in secondo luogo, delle difficoltà incontrate nell’attuare una politica di riforme in campo economico. Vero è che, come affermato dal primo ministro russo Dmitrij Medvedev, l’economia russa è entrata in una fase di ripresa. Ma, come lo stesso premier ha affermato, la fase di crescita “non è ancora robusta”.
Cosa succederà adesso è difficile da prevedere. Per avere un quadro più chiaro della situazione abbiamo intervistato il Prof. Carlo Fredduzzi che, specializzatosi in Filologia Slava all’Università di Leningrado, è oggi Direttore dell’Istituto di Cultura e Lingua Russa di Roma. Quest’ultimo, oltre ad essere centro d’eccellenza nell’insegnamento della lingua russa, organizza convegni, mostre, rassegne cinematografiche, dibattiti e incontri con personalità della cultura e delle professioni. Nello svolgimento di tali attività si avvale della collaborazione di enti pubblici e privati russi, italiani e di altri paesi, nonché dell’esperienza accumulata nella Task Force del Ministero del Commercio Estero per i Programmi Tacis/Phare destinati alla Russia e ai paesi dell’area post-sovietica e dell’Europa dell’est.
Partiamo da un recente articolo di The Moscow Times, dal titolo “La riforma impossibile dell’economia russa”. Secondo Lei, si tratta di un cambiamento davvero impossibile?
La riforma dell’economia russa non è impossibile, ma certamente è molto difficile e soprattutto dovrebbe avvenire a certe condizioni. Difficile perché il paese non potrà continuare a reggersi quasi esclusivamente sull’export energetico (gas e petrolio) e di armamenti, e dovrà contemporaneamente operare un salto di qualità in alcuni comparti: in primis, snellire e bonificare la burocrazia, ammodernare il sistema bancario e diversificare quello produttivo. Se poi la Russia viene costretta – come sostiene Putin – ad aumentare ulteriormente le spese militari per mantenere l’equilibrio geopolitico mondiale pur con un profilo di potenza regionale, riformare la propria economia diventa ancora più difficile. Se ciò avverrà, non sarà comunque a breve e il 2017 e il 2018 saranno decisivi: una riforma incisiva avrà bisogno di almeno 6-7 anni. Visto che il tandem con Medvedev resiste e che il voto presidenziale del marzo 2018 probabilmente vedrà la riconferma di Vladimir Vladimirovič, sarà lo stesso Putin a governare la Russia verso, me lo auguro, l’uscita dalla crisi economica. La stabilità politica dovrebbe essere un punto a favore dell’inquilino del Cremlino, ma deve convincere i russi ad accettare una politica di “lacrime e sangue”. Non sarà cosa facile, dal momento che già ora una parte cospicua del paese è allo stremo e non ha quasi più nulla da “donare alla patria”.
Dopo Brexit, la possibile uscita di altri Stati membri dall’UE. In che modo la Russia potrebbe intrattenere i rapporti con i singoli Paesi, a seguito di questa disgregazione?
Innanzi tutto spero che questa uscita non avvenga. La Russia ha una lunga storia di diplomatici avveduti, e l’attuale ministro degli Esteri Lavròv è il migliore alleato di Putin. Sergèj Vìktorovič riesce a tenere i fili, seppur sottili, dei rapporti con i più influenti Stati dell’UE, ovviando a forzature politiche e strizzatine d’occhio della Duma e della “pancia slavofila” della Russia verso i movimenti e i partiti europei, di destra o di sinistra, che vorrebbero lo sfaldamento dell’Unione. Sappiamo come è andata in Austria, dove non è passato il vento populista, ma non sappiamo come andrà a finire tra non molto in Francia e nel prossimo futuro in Germana e in Italia. Non credo che Mosca si auguri una mini-UE per poter trattare da posizioni di forza con i singoli paesi. Putin e con lui soprattutto Medvedev e Lavrov sono interessati a ripristinare al più presto almeno una parvenza di cooperazione politico-economica con l’Europa, anche se le proposte finora pervenute da Mosca sono poca cosa, come la rinuncia all’accordo di libero scambio TTIP con gli Usa in cambio della collaborazione con la neonata “Unione economica euroasiatica”. Alcuni governi europei, tra cui l’Italia, unitamente a singole eminenti personalità politiche e imprenditoriali, spingono per abolire de jure o almeno de facto le sanzioni economiche contro la Russia che colpiscono anche i loro interessi, ma il punto critico riguarda la situazione in Ucraina. Le riunioni-fiume di Minsk e la relativa attuazione degli accordi a quattro (Germania, Francia, Federazione Russa e Ucraina) non solo segnano il passo, ma finiscono per incancrenire la situazione esplosiva nell’Ucraina stessa e nelle autoproclamatesi Repubbliche Popolari di Donetsk e di Lugansk. Putin dovrà sciogliere prima o poi questo nodo. E’ il crocevia per riavviare rapporti di vera e propria cooperazione con l’intera UE o con i singoli paesi europei.
Nei primi anni ’90 ha conosciuto Vladimir Putin: che ricordo ha di lui?
Effettivamente nel 1992 ho avuto modo di conoscere personalmente Putin a San Pietroburgo pochi mesi dopo che la città con il referendum voluto dal sindaco Anatolij Sobčak aveva cambiato nome da Leningrado in quello della “Città di San Pietro”. Putin, ex rezident del Kgb a Dresda (Germania Est), dove aveva assistito alla caduta del muro di Berlino, era entrato nel 1990 nella squadra del sindaco liberal. Quando lo incontrai, era responsabile del Dipartimento per le relazioni internazionali e uno dei Vice-sindaci della città.
Nell’estate di quell’anno mi recai a Pietroburgo per incontrare i miei studenti che seguivano corsi intensivi di russo presso varie strutture universitarie. In quella occasione durante il consueto incontro di cortesia presso la locale Unione delle Associazioni sovietiche di amicizia con l’estero (Ssod), che a livello nazionale era diretta dall’ex-cosmonauta Valentina Tereškova, mi proposero di incontrare allo Smolny, sede del Comune, uno stretto collaboratore di Sobčak. Risposi che non avevo nulla in contrario, pensando che il tema dell’incontro fossero i rapporti culturali tra i nostri paesi.
Con mia grande sorpresa, invece, fui introdotto in un ufficio dove pochi istanti dopo si presentarono Vladimir Putin e il suo vice. Non c’era bisogno di interpreti tra di noi e Putin con fare gentile cominciò subito a parlarmi del bisogno della città di sviluppare la cooperazione economica, finanziaria e industriale con i paesi più avanzati, Italia compresa. Mi chiese se potevo coinvolgere i vari livelli istituzionali – Governo, Regione, Campidoglio – o singoli imprenditori e banche interessati a progetti comuni. In poche parole, era alla ricerca di finanziamenti esteri che supportassero la ripresa economico-produttiva della città. Alla fine del suo discorso mi chiese che ne pensassi. Dissi che in realtà dal 1970 mi occupavo esclusivamente della cooperazione culturale tra i nostri paesi, anche se conoscevo qualche imprenditore, ma si trattava di persone che dirigevano piccole aziende non in grado di confrontarsi con la dimensione finanziaria di questo o altri progetti analoghi. Lui ringraziò della mia attenzione, mi disse di avere un altro impegno, e mi pregò di continuare il colloquio con il suo vice. Ovviamente essendo del tutto estraneo al mondo finanziario e imprenditoriale, il discorso sugli investimenti italiani a San Pietroburgo finì lì.
Non incontrai più Putin direttamente. Molti anni dopo, nel giugno 2000, partecipai all’inaugurazione del monumento di Aleksandr Puškin a Villa Borghese. La cerimonia avvenne alla sua presenza in qualità di Presidente della Federazione Russa e quando si concluse potei solo stringergli la mano, augurando l’ulteriore rafforzamento dei legami culturali tra i nostri paesi. Non credo che mi abbia riconosciuto dopo quasi 8 anni dal nostro incontro allo Smolny.
Se ripenso a quella mezz’ora, vedo davanti a me una persona sicura di sé, occhi fissi sul proprio interlocutore, frasi secche che vanno diritte al nodo del problema e che da te aspetta solo un no o un sì. Un modo cordiale di porre il problema, ma non incline a tergiversare. Insomma poche parole per andare alla sostanza del problema. Pur non avendo più avuto occasione di incontrarlo, penso che in fondo sia rimasto quello di 25 anni prima, soprattutto se penso ad altri ex presidenti ed ex-premier che ho avuto la fortuna di conoscere: Egor Gajdar, Evgenij Primakov, Mikhail Gorbaciov e Dmitrij Medvedev, ciascuno con le proprie caratteristiche, molto diverse da quelle di Putin.
Putin-Trump. Cosa Le dice questo binomio?
La storia è maestra di vita. Se guardiamo agli ultimi decenni è difficile trovare una personalità politica di spicco che durante la sua presidenza sia riuscito a mettere in pratica le idee con cui aveva raggiunto il potere. Prendiamo ad esempio Gorbaciov. Mikhail Sergeevič non è riuscito a realizzare il suo progetto di fare dell’Urss un paese più simile agli standard occidentali. Forse era impossibile a quel tempo, forse ha sbagliato i suoi calcoli che non poggiavano sulla realtà politica, economia e sociale di quella Russia, forse la carota degli aiuti economici che l’Occidente gli agitava davanti al suo cavallo era solo di plastica. Fatto sta che ha fallito del tutto, senza lasciare molti rimpianti. Tutto in cinque anni. Dall’altra parte Obama ha avuto otto anni per governare e tranne una parziale riforma sanitaria (Obamacare) non è riuscito a passare il testimone a Hillary Clinton. L’ex first lady è stata sconfitta da Trump con argomenti populisti che hanno fatto presa sulla parte impoverita e xenofoba della società americana, di cui nessuno può mettere in discussione il carattere democratico.
Tra i temi della campagna elettorale di Trump vistosamente campeggiava anche quello di un nuovo rapporto con Putin. Si è parlato anche di hacker russi che hanno favorito la vittoria e decretato l’esito finale del voto, il che – se fosse vero – sarebbe un bello smacco per le istituzioni di salvaguardia e tutela della sicurezza più grande potenza del mondo.
Da parte sua Putin ha cominciato ad avere le leve del potere in Russia da Elcyn il 31 dicembre del 1999 dietro l’assicurazione che il “sistema familistico” di Corvo bianco non fosse toccato. Vladimir Vladimirovič non ha atteso la morte di Boris Nikolaevič per ingabbiare quel sistema e per di più senza ricorrere a misure estreme.
Ergo, si comincia un ciclo politico con determinate idee e, malgrado tutto, gradualmente si devia dalla traiettoria perché la realtà che si deve affrontare è diversa da come uno se l’era immaginata. Non ho dubbi che sarà così anche per Trump e già qualcosa si vede. Basta seguire la delusione dei media russi che speravano in una svolta immediata nei rapporti con gli Stati Uniti. Per ora questa svolta non c’è stata e Trump incontra molte resistenze anche nel campo repubblicano. Ma è ancora presto per dirlo. Il mondo è globalizzato e sarà difficile che nasca un nuovo tandem Putin-Trump che gestisca unilateralmente questo mondo. Esistono altri attori sulla scena economico-politica e non penso che Cina, India, la stessa Europa accettino di fare da semplici comprimari. Tuttavia un rapporto migliore tra Washington e Mosca sarebbe auspicabile e aiuterebbe la Russia ad uscire dall’isolamento e a riavvicinarsi all’Europa.
Qualche anno fa ha scritto un libro, “La Russia che verrà”. Qual è la Russia che si aspetta di vedere, da qui a cinque anni?
L’ultimo capitolo del mio libro, volutamente pubblicato nel febbraio 2012 prima dell’elezione di Putin subentrato poco dopo a Dmitrij Medvedev nel Gran Palazzo del Cremlino, si intitolava “Il futuro della Russia sono i giovani”. Sono ancora di questo avviso, ma il percorso è diventato più impervio perché la crisi economico-sociale della Russia in questi anni ha prodotto profonde ferite nella nascente middle class composta prevalentemente da giovani. Scrivevo allora che la Russia stava cambiando a pelle di leopardo, ma la via del cambiamento democratico era possibile e reale. Sebbene il cammino sia diventato oggi più accidentato e difficile, resto del parere che questa strada sia ancora percorribile e reale. Il sogno di quei giovani di vivere in un paese normale, aperto al merito, senza la dilagante corruzione, resta valido ancora oggi. Ma per realizzare questo sogno, occorre che la Russia che verrà non dovrà più sbianchettare pagine della propria storia e ricominciare tutto da capo come è avvenuto negli ultimi secoli, ma imparare da uno dei suoi massimi profeti, Fjodor Dostojevskij, che solo “la bellezza salverà il mondo”. Forse è pura utopia, ma mi piace pensarlo, perchè il “Pianeta Russia” abbonda di gemme di bellezza in molti campi. E a partire da queste gemme la Russia può farcela a uscire dal tunnel e ritrovare il suo ruolo nella storia e il suo posto nel mondo di oggi!