Erdogan ha vinto. Con il 51.3% dei voti a favore e il 48.6% contro, il presidente turco è riuscito a ottenere ciò che andava cercando da molto tempo: il passaggio da un sistema parlamentare ad uno presidenziale. La riforma costituzionale sottoposta al giudizio di 55 milioni di elettori è dunque stata approvata, consegnando nelle mani del leader dell’Akp le chiavi di tutto il sistema politico turco.
Ma la vittoria del sì al referendum non è solo l’inizio di un cambiamento costituzionale; è soprattutto la fine della moderna Turchia, di quel sogno di una Turchia fondata sui principi del laicismo e del secolarismo su cui Ataturk, il padre della patria, aveva cancellato il sultanato per proiettare l’Anatolia nell’era moderna. Eppure il sogno moderno di Ataturk non era certo senza pecche, né lo è stata l’avventura politica della Turchia in questi anni. Il secolarismo imposto da Mustafa Kemal era stato a discapito delle forze e dei gruppi religiosi, quei gruppi religiosi che dopo essere stati vessati e oppressi per anni avevano ritrovato coraggio e ambizione in Erbakan prima negli Anni 70, e nel suo successore, Recep Tayyip Erdogan.
Ciò che esce da questo referendum è dunque una Turchia divisa e spaccata. Erdogan vince, ma non stravince. Le maggiori sconfitte arrivano da Istanbul e Ankara, la prima dove fu eletto sindaco e la seconda il quartier generale dell’AKP.
Politicamente, attraverso il passaggio a un sistema presidenziale, Erdogan potrà godere di estesi poteri esecutivi, compresa l’abilità di nominare giudici, senza consenso dal parlamento, decretare lo stato di emergenza e dissolvere il parlamento. Il neo presidente avrà anche la precedenza in merito alle nomine inerenti alle forze armate, l’autorizzazione a nominare rettori universitari e altre cariche pubbliche
Le aspirazioni megalomane di Erdogan non erano però certo un segreto. Il lungo corteggiamento del leader dell’AKP è durato molti anni ma ha finalmente portato i suoi frutti. Già nell’ottobre del 2011 Erdogan aveva annunciato che la Turchia avrebbe avuto una nuova costituzione entro un anno. Nel 2013, il comitato parlamentare incaricato di scrivere il nuovo documento era in un vicolo cieco. Così Erdogan, per velocizzare il processo, mise i suoi occhi su una costituzione scritta dall’AKP. Tuttavia, per poter ottenere l’approvazione avrebbe dovuto rinforzare la sua maggioranza parlamentare. Nel 2015, dopo due elezioni generali, Erdogan non fu in grado di ottenere i 367 posti necessari per scrivere e ratificare una nuova costituzione in solitaria; il presidente è stato quindi forzato a fare appello al voto popolare. Ed è proprio con il voto popolare di oggi, ovvero attraverso il più basilare strumento democratico che Erdogan ha messo fine alla democrazia turca.
Eppure, nonostante i risultati del referendum abbiano decretato una vittoria del sì, sorgono dubbi riguardo alla validità dei voti. Il leader del partito di opposizione, il CHP, ha subito messo in discussione la legittimità del processo di voto, commentando l’irregolarità del conteggio delle schede senza timbro ufficiale.
In ogni caso Erdogan vedrà i suoi sogni realizzati: un accentramento di potere che mai era stato possibile nella storia della Turchia moderna