Ultimamente rifugiati e campi profughi sono state parole da prima pagina o da infilare in qualche discorso politico – spesso venati di una non troppo velata demagogia. Su questo tema, sempre più attuale in Italia, l’opinione pubblica si spacca. Da una parte c’è chi crede che gli immigrati accrescano i livelli di criminalità e rappresentino un peso inutile sulle finanze pubbliche, dall’altra c’è invece chi ritiene che gli immigrati compensino utilmente carenze di lavoratori nazionali.
Ma messe da parte le tendenze xenofobe, una cosa va oltre gli schiramente ideologici e politici: la necessità di garantire condizioni umanitarie dignitose a tutti coloro che si trovano costretti ad espatriare dalle proprie terre scolvolte da guerre e dissidi politici. Secondo i dati delle Nazioni Unite, più di 43 milioni di persone in tutto il mondo vivono come rifugiati nel proprio o in altri paesi a causa di persecuzioni politiche, sociali, religiose o razziali.
Da anni multinazionali e associazioni no-profit si sono impegnate sul versante dell’accoglienza e dell’assistenza ai profughi. Nel 2015 un significativo aiuto arriva da un versante inaspettato. Non stiamo parlando degli approvvigionamenti che Bill Gates invia nel terzo mondo (finendo sempre tra le prime pagine della stampa statunitense), ma di una proprosta che vede come autori l’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e IKEA Foundation, “ramo umanitario” del gigante dell’arredamento svedese.