Sembra che una tempesta di sabbia si stia per abbattere sull’Arabia Saudita e che questa volta provenga dall’Occidente. Effettivamente, il regno Wahabia sta provocando una sempre maggiore sfiducia ai suoi alleati occidentali, tant’è vero che l’intoccabile “matrimonio” d’interessi economici- militari tra Washington e Riyad- considerato uno dei pilastri fondamentali per gli equilibri geopolitici dell’area mediorientale- sta iniziando a traballare. Qualcosa, dunque, si è rotto nella storica unione conclusasi nel 1945 tra il Re Ibn-Saoud (primo monarca dell’Arabia Saudita, stato ufficialmente nato nel 1932) e il presidente Roosvelt, fondata sull’accordo vantaggioso per entrambe le parti del petrolio arabo in cambio della sicurezza americana. Ma quali sono i fattori all’origine di questa frizione?
In primo luogo, le responsabilità implicite dietro agli attentati dell’11/09 e la lenta presa di coscienza del ruolo giocato dal Regno saudita nella diffusione dell’islam wahabita, alla base del terrorismo jihadista. Inoltre, dopo tante vicissitudini, il Congresso americano ha approvato, lo scorso 23 settembre, un provvedimento epocale che permette ai cittadini di intentare cause conto governi stranieri. Nella fattispecie, questa legge dà la possibilità ai familiari delle vittime dell’11/09 di muoversi contro Riyad, considerato che la grande maggioranza degli attentatori era di nazionalità saudita. Non c’è, dunque, da sorprendersi che il Presidente Obama abbia cercato più volte di contestare il passaggio del provvedimento, in quanto temeva un pericolo tra i rapporti di comodo tra Casa Bianca e Riyad.
In secondo luogo, è evidente come gli Stati Uniti abbiano condotto una politica in Medio Oriente molto spesso in contrasto con gli interessi sauditi, a partire dal 2003 con il rovesciamento del regime di Saddam Hussein, importante per tenere a bada il peso dell’Iran sciita. Anche il “lassismo” e la scarsa fermezza nella lotta per colpire Assad, considerato da Riyad una pedina dell’espansionismo dell’Iran, e il non digerito accordo sul nucleare stretto con quets’ultimo nel 2015, rientrano nella politica Usa sfavorevole all’Arabia Saudita.
D’altra parte, però, c’è da dire che la recente decisione americana di intervenire in Yemen con dei raid aerei sembra simboleggiare una certa ritrovata armonia con le posizioni degli alleati sauditi. In effetti, da tempo, Riyad sta provando, senza successo, ad annientare l’insurrezione delle tribù degli Houthi (antico gruppo sciita Zaydita rappresentante il 35% della popolazione yemenita), accusate di essere sostenute dall’Iran sciita, l’odiato rivale negli equilibri mediorientali. È anche vero che, prima del raid aereo del 13 ottobre, Washington aveva già dato il suo consenso a questa guerra “locale”, ribattezzata da qualche tempo il “Vietnam” dell’eterna guerra fredda tra Sauditi sunniti e Persiani sciiti.
Nonostante ciò, l’opinione pubblica americana sembra decisamente contraria a questa nuovo intervento, tant’è che proprio il giorno precedente al raid, il 12 ottobre, il New York Times ha chiesto espressamente all’amministrazione Obama di cessare ogni tipo di complicità nelle atrocità commesse in Yemen. Del resto è ben noto a tutti che grazie all’appoggio politico e militare americano, l’Arabia Saudita bombardi la capitale yemenita, Sanaa, provocando atroci crimini sulla popolazione civile che hanno poco o nulla da invidiare a quanto accade in Siria e che hanno come effetto di far crescere il malcontento e la disapprovazione dell’opinione pubblica americana.
Malgrado tutti questi punti di frizione, è inutile nascondere che al giorno d’oggi le compravendite di armi e le relazioni finanziarie che legano Washington e i suoi alleati europei a Riyad, rimangono molto importanti e vantaggiosi. D’altra parte, risulta evidente come la responsabilità saudita nella diffusione del fondamentalismo wahabita, stia minando i rapporti con l’Occidente. Resta dunque da capire come l’evolversi di determinati eventi, dalla guerra yemenita a quella siriana, senza dimenticare la minaccia onnipresente del terrorismo islamico e l’agenda politica del prossimo presidente americano, porteranno i rapporti tra occidentali e sauditi d un irrimediabile punto di svolta.