Carmelo Sardo (Tg5) a Smartweek: “La mia carriera da giornalista? Tutto è cominciato da un incidente”

carmelo sardo

Se non fosse stato per quell’incidente in scooter oggi sarebbe un attore teatrale, o forse no. Suona banale affermare che il fato ha più fantasia di noi, ma quel giorno d’estate inoltrata del luglio ’83, tra l’ondata di caldo più intensa con picchi mai raggiunti e la morte del giudice Rocco Chinnici per mano mafiosa, nella bella e martoriata isola di Sicilia viene scoperto in Carmelo Sardo un talento a lui ancora sconosciuto.

Infatti è stato l’incontro, del tutto peculiare, con un giornalista direttore del tg locale di Agrigento a trasformarlo, nel giro di poche ore, da vittima di un incidente col “vespone” a protagonista dell’edizione delle 20.10. E se oggi non fosse caporedattore cronache del TG5, oltre che scrittore apprezzato in tutta Europa, probabilmente non potrebbe regalare importanti aneddoti come trovarsi “nel bel mezzo della guerra di mafia, tra un morto ammazzato e l’altro”, senza mai perdere la speranza. Ma Sardo, voce inconfondibile, pulita e profonda, senza alcuna cadenza sin da quando era ancora un adolescente – “grazie al teatro che ho frequentato dai 15 ai 24 anni” – è un testimone narrante fuori dal coro.

Dall’esperienza in quel supercarcere di Favignana, agli appunti ritrovati dopo 25 anni che hanno dato vita al romanzo “Vento di Tramontana”, ai luoghi del cuore, quelli della sua terra che fungono da eterna cornice a un’esistenza contornata anche da momenti di “nostalgia, tormento, desiderio del ritorno”.

E poi il mare, fonte di massima ispirazione, “lo guardo e l’animo viaggia”. Fino a tracciare un profilo sull’evoluzione della professione con preziosi salti temporali che riportano al momento dell’addio, sebbene inteso come dono di una valigia non facile da chiudere. Prima Milano poi Roma, il contratto con Mentana e una carriera degna di lode. In Carmelo è racchiusa tutta la sensibilità e il coraggio che servono per tagliare traguardi importanti o per raccontare episodi sconvolgenti senza lasciarsi sopraffare. Oggi si dice uomo felice di ciò che la vita gli ha riservato mentre i suoi sogni di ragazzino si stanno realizzando per mano della figlia Chiara, attrice di musical pronta a esibirsi, cantare e ballare davanti a calorose platee. Probabilmente è questa la notizia più bella che un padre-giornalista vorrebbe dare.

Dalla provincia di Agrigento a vice capo-redattore cronache del TG5. Quando e come è cominciato questo viaggio?

“E’ cominciato tutto da un incidente stradale nella “mia” Agrigento. Con il mio vespone stavo andando al mare; mi incanto a guardare i templi sulla collina, tiro dritto in curva e finisco contro un’auto. Mi faccio male a un braccio, ma resto vivo. Il primo soccorritore che mi porterà in ospedale era, quando si dice il destino, appena diventato direttore della tv locale e responsabile delle pagine agrigentine del Giornale di Sicilia.  Dopo quell’incidente, sono andato a ringraziarlo, lui ha sentito la mia voce senza inflessioni dialettali (facevo teatro da giovane) e mi propone un provino di conduzione al tg. Ricordo come fosse oggi quel giorno: faccio il provino alle 15, e alle 20,10 mi manda in onda in diretta. Era il 23 luglio 1983. Cominciò tutto così.”

I primi passi come cronista al Giornale di Sicilia e a Teleacras e primo professionista nella storia delle tv private della provincia di Agrigento. Ti manca offrire il servizio alla tua terra?

“Aver cominciato a fare questo lavoro in Sicilia, nel pieno sviluppo di una guerra di mafia, è stata una scuola  straordinaria. Correvo da un morto ammazzato all’altro. E purtroppo ho dovuto raccontare anche di morti illustri, di giudici e di poliziotti, di professionisti e di carabinieri. Sì, è stato una scuola unica quel tempo in Sicilia, ma ovviamente non mi manca quella tipologia di servizi. Oggi, a distanza di oltre trent’anni, mi tocca ancora parlare di Sicilia nei miei servizi al tg5, ma con un approccio nettamente diverso. Quello che mi manca è la terra di Sicilia; cose che solo i siciliani di <mare aperto>, quelli che sono “costretti” ad andarsene, sanno cosa siano: la nostalgia, il tormento, il desiderio del ritorno.”

 Quanto è sottile il confine tra libertà di espressione e mantenere una precisa linea editoriale?

“Non esiste, va da se, una testata giornalista che non abbia una precisa linea editoriale, condivisibile o meno. Non esiste giornalista, di quella testata, che non la rispetti.  L’abilità consiste nel riuscire a mantenere un equilibrio tra la libertà di espressione e linea editoriale.  Ci sono notizie scomode all’editore che non si possono tacere. E vanno date. Semmai il problema è come darle, fatto salvo che non si possa e non si debba tradire la verità di un fatto. Io lavoro al tg5 da 20 anni. Ebbene, per quanto possa apparire inverosimile, noi abbiamo un’ampissima libertà di espressione. Non abbiamo mai taciuto notizie scomode al nostro editore: semmai non ci siamo accaniti, come fanno altre testate concorrenti.”

I tuoi romanzi hanno avuto un grande successo, anche all’estero. “Vento di Tramontana”  e “Per una madre” sono frutto di un’amicizia riconducibile ai tempi del servizio militare con un ex boss mafioso tra le mura di un carcere di massima resistenza. Quando hai capito che dovevi dar voce a questa storia?

“Ho fatto il servizio militare nella polizia penitenziaria e ho passato nove mesi in servizio nel supercarcere di Favignana. E’ stato uno svezzamento per me. Venticinque anni dopo, come nella favole, in un vecchio baule ho trovato la mia sacca del militare e all’interno vi erano quattro quaderni dove scrivevo durante il militare tutto quanto mi succedeva durante le giornate in servizio: i drammi dei detenuti,  le loro ansie e le loro speranze, i fatti assurdi che accadevano in quel carcere. Rilessi tutto con l’emozione dell’uomo maturo e vi trovai dentro un libro. Mi dissi <questa è una storia che devo assolutamente scrivere>. Nacque così il mio primo romanzo “Vento di tramontana”,  che ruota attorno all’amicizia e al patto segreto che quella giovane guardia fece con un ex capo mafia. Da qui la storia mi ha condotto al sequel “Per una madre”, in cui, a differenza del precedente, la storia che si dipana è solo frutto della mia fantasia.”

C’è chi quando scrive ha bisogno di concentrazione, ritualità o di varcare luoghi fonte d’ispirazione. Il tuo approccio alla scrittura da cosa è determinato?

“Fino a pochi mesi fa ero convinto che si potesse scrivere dovunque. Perché questo succedeva a me. Io mi sono sempre portato dietro un taccuino dove appunto pensieri che spuntano all’improvviso, in ordine sparso, ma dove scrivo anche pezzi di romanzo. E mi è capitato dovunque: in aereo, in treno, addirittura mentre passeggio. Recentemente però, sviluppando un romanzo, mi sono bloccato in una scena. Per superare quell’impasse ho dovuto prendere l’aereo, andare in un’isola e ritirarmi da tutto e da tutti. Ha funzionato. Il mare, dove sono nato e cresciuto, è stato la mia fonte inesauribile di ispirazione. Quando mi capita di scrivere, chiuso nella mia casa di Roma,  metto una musica ben precisa in sottofondo, e guardo foto di mare. E l’animo viaggia.”

Una notizia che non avresti mai voluto dare e che ti ha toccato particolarmente

“Senza dubbio l’omicidio del giudice Rosario Livatino. Per quanto ne abbia viste e raccontate tante, troppe, l’orrenda morte di un giudice di 37 anni nella Sicilia arida delle guerre di mafia del ’90, mi ha segnato molto, come uomo prima ancora che come professionista. Fui il primo giornalista quella mattina a giungere sulla scarpata dove venne inseguito e ucciso il giudice, e a vederne il corpo martoriato. Ho seguito gli sviluppi di quell’inchiesta fin dal primo giorno e un quarto di secolo dopo ho incontrato in carcere due dei quattro assassini, con un terzo ci siamo scritti, e grazie a una lunga e complessa attività di inchiesta giornalistica che ho percorso lungo sette anni, ho scritto un libro che ruota attorno all’omicidio del giudice e alla storia dei suoi giovani killer. Si intitola <Cani senza padrone>, edito da Melampo,  e quello che mi rende orgoglioso è il fatto che ci sono studenti che di questa storia ne hanno fatto la tesi di laurea.”

Esiste una differenza sostanziale tra giornalismo televisivo e giornalismo di carta stampata? La diretta, probabilmente, impone una forma di responsabilità e immediatezza da cui è impossibile sottrarsi.

“Innanzi tutto la differenza principale sta nel linguaggio. La tv la seguono milioni di persone di ogni estrazione sociale e culturale. Devi parlare il più chiaro possibile. Non è come nei giornali dove uno che legge se non capisce qualcosa può tornare indietro e rileggere. I giornali poi hanno molto più tempo per verificare una notizia. I telegiornali no. Sono più immediati e, come ben dici, nella diretta bisogna essere molto responsabili. Io nel dubbio, di fronte a una notizia clamorosa solo sussurrata, ho preferito nelle mie dirette non darle e aspettare conferme ufficiali. Certo, dipende poi da che notizie si tratti.”

Ai ragazzi che vorrebbero intraprendere la carriera giornalistica consigli una costosa scuola di giornalismo o un duro ma formativo praticantato?

“Oggi non si può prescindere da una laurea intanto. Io consiglio una triennale, magari in scienze politiche, o della comunicazione, e poi una delle tante scuole specializzate che permettono di accedere direttamente all’esame professionale per giornalista. Purtroppo, aggiungo, non c’è possibilità, come una volta, di fare scuola in strada, se non in casi rari.”

E’ stato più complicato fare il giornalista in Sicilia ieri o svolgere questa professione oggi nel mondo del “citizien journalist”, delle “fake news” e dei politici che veicolano personalmente notizie gestendo tempi e modi tramite i social network?

“Fatte le debite proporzioni tra i due aspetti, è stato certamente più complicato farlo in Sicilia questo lavoro, a quel tempo quando la mafia era sanguinaria e pericolosa e molti giornalisti ne hanno pagato le conseguenze. Lo scenario è molto cambiato. Oggi , al tempo dei social, se non hai dimestichezza, rischi di prendere cantonate clamorose. Ma devo ammettere che non è poi così complicato smascherare una <fake>. Soprattutto quelle dei politici.”

Quali personaggi, se ci sono, hanno ispirato il tuo percorso professionale?

“Non uno, ma decine di personaggi: gli autori dei romanzi che ho amato sin da ragazzino!  Aver letto tanto mi ha aperto la mente e il cuore, non è retorica. Le storie hanno alimentato la mia fantasia e i grandi romanzieri mi hanno aiutato a scrivere meglio. Ho divorato soprattutto gli scrittori sudamericani: Borges, Amado, Munoz Molina, Mutis…mi hanno insegnato che per saper descrivere bene una scena basta osservarla e raccontarla come se parlassi a un amico: senza frasi fatte, senza luoghi comuni, ma con la semplicità delle chiacchierate tra amici.”

Diceva Napoleone: “c’è da avere paura più di tre giornali ostili che di mille baionette”. Oggi forse non è più così. I giornali si leggono sempre meno e l’impatto sulla società è notevolmente mutato. Con l’alfabetizzazione digitale l’accesso alle fonti diventa a portata di tutti. In che direzione, quindi, si sta muovendo il mondo dell’informazione?

“E’ vero, si leggono molto di meno i giornali perché ormai, specie i giovani, aprono il telefonino e una marea di siti ti informa. Ma resistono i telegiornali! E credo che vivranno a lungo.  Anche dentro a uno smartphone.”

Infine, se Carmelo Sardo non avesse fatto il giornalista oggi chi sarebbe?

“Chi sarei non so dirlo. Posso dire chi avrei sperato che fossi. Il mio sogno era quello di interpretare i musical: cantare, ballare, recitare. L’ho fatto per qualche tempo tra i 15 e i 24 anni. Poi è arrivato il giornalismo e mi ha travolto. Quell’altro è rimasto solo un sogno, che sta realizzando mia figlia Chiara. Ha fatto la scuola del musical a Milano, sta cominciando a fare i primi spettacoli. Canta e balla. E un po’ è come se avesse ripreso il mio percorso interrotto. E io sono felice così.”

Grazia Di Maggio