Il fenomeno Clubhouse è esploso e si è diffuso anche nel Bel Paese con una velocità che per altri social made in the USA non si era vista.
Fondato nell’aprile 2020, a dicembre dello scorso anno il Clubhouse era stato valutato 100 milioni di dollari e nel giro di un mese, a gennaio 2021, la valutazione ha toccato il miliardo.
Ma di cosa si tratta? È un social network basato sull’interazione, o la semplice partecipazione passiva, alle cosiddette “rooms”, sorta di gruppi aperti all’interno dei quali i membri discutono di argomenti di ogni tipo, solo ed esclusivamente tramite la voce. Molti lo definiscono il social del “messaggi vocali”, ma è più corretto definirlo una sorta di podcast, di chiamata internazionale tra illimitati componenti di questi gruppi.
La forza di Clubhouse sta in questo: non esistono foto, non esistono video. Non ha nulla in comune con Instagram, se non la possibilità di presentarsi sul proprio profilo tramite una biografia, e non ha nulla in comune con altri social, se non la possibilità di selezionare i propri interessi tramite una scelta iniziale, che quindi è già diretta, dando meno l’impressione di essere “vittime di un algoritmo”.
Altro punto saliente: l’accesso all’applicazione avviene solo tramite inviti, forniti in piccole quantità agli utenti già attivi, che vengono distribuiti tra amici e conoscenti con l’attenzione a non “sprecarli”, donandoli solo a chi realmente interessato; l’identità è in questo social molto importante: l’accesso non avviene se non tramite il proprio numero telefonico, riducendo dunque il rischio di profili fake.
Quindi perché questo social può essere definito femminista? Perché su Clubhouse, non importa chi sei o cosa fai, come appari o quanto bene sai venderti. Su clubhouse importa la tua voce, il tuo punto di vista. In qualsiasi momento puoi prendere la parola e difficilmente, se non mai, ci si trova nella situazione di essere sminuiti o zittiti. Ognuno ha la possibilità di esprimersi. Inoltre, la possibilità di accedere al social solo tramite la “nomina” da parte di un membro già attivo, abbassa la possibilità che qualcuno sia iscritto a Clubhouse con il solo intento di attaccare, difendendosi dietro un’identità fasulla, e di conseguenza minare a quella che è l’integrità su cui si basano le conversazioni delle rooms.
Clubhouse da la possibilità di informarsi ed informare, e la possibilità di selezionare attivamente ciò in cui ci si vuole imbattere, scegliendo di partecipare a specifiche rooms, fa sì che l’autorità e la competenza in materia dei più disparati topic possa essere presa in considerazione sempre.
Inoltre, essendo un social così nuovo, il fattore “numeri” è limitato se non inesistente. Il “follow” continua ad esistere, ma è più una storta di reminder, di approvazione necessaria per garantire che gli interessi di una persona, se in comune con i propri, possano essere nuovamente portati alla nostra attenzione in futuro. I “likes” non esistono.
Un social dove importa la parola e non l’aspetto, non solo risponde alle esigenze di una
generazione che sente la necessità di staccarsi dalle apparenze per dare maggior valore ai contenuti, ma consente anche di avere maggiore controllo sui contenuti stessi, in quanto frutto della nostra personale interazione con essi. E in un mondo in cui le competenze passano in secondo luogo, spesso anche solo per come appariamo, è necessario capire l’importanza di un canale di comunicazione come questo, e farlo nostro.
Beatrice Zucconi