La manna dal cielo, o meglio dai fondali marini, giungeva nel 1965, quando i geologi scoprivano enormi giacimenti di petrolio e gas sotto al Mare del Nord. Da lì a poco l’Europa sarebbe affogata nella crisi petrolifera degli anni Settanta. A quasi 50 anni da quell’eccezionale ritrovamento, a meno di 100 giorni dal referendum d’indipendenza scozzese, il futuro di queste risorse e di tutto il panorama energetico anglosassone è un enorme rebus.
Primo nodo: come distribuire i guadagni? La produzione degli ultimi 4 anni è calata del 40%. I giacimenti off-shore del Mare del Nord si stanno velocemente esaurendo e a rischio non ci sono solo 450.000 posti di lavoro, ma soprattutto la liquidità proveniente dalle tasse. In Scozia per esempio si è passati dagli 11,2 MLD di £ del 2011 ai 4,2 del 2013. Pur potendo contare su prezzo molto alto (108 $) del Brent, il barile di petrolio del Mare del Nord, il Partito Nazionalista Scozzese potrebbe avere difficoltà nella gestione di un’entrata basata su una risorsa naturale in esaurimento. Nel 2014, dopo 30 anni, tutta la UK è tornata importatore netto di petrolio a causa del calo delle estrazioni di oil&gas.
In secondo luogo, il tema delle energie verdi. La Scozia viene definita l’Arabia Saudita delle rinnovabili, perché già oggi produce il 50% della sua elettricità con energia pulita, proveniente dalle maree, dal vento e dai fiumi. L’obiettivo per il 2020 è il 100%. Senza quest’importante quota di energia a zero emissioni, il resto della UK si troverebbe a pagare una multa salata da parte dell’UE per non aver raggiunto l’obiettivo del 20-20-20. Il governo inglese questo lo sa e per questo il Segretario per l’Energia Ed Davey si è affrettato a evidenziare come senza gli incentivi pagati dai contribuenti inglesi, i cittadini scozzesi si troverebbero a pagare una bolletta più cara di almeno 1,8 MLD di €.
La Scozia, che a marzo ha appena annunciato due mega parchi eolici off-shore da quasi 2 GW di potenza installata, dovrebbe così rallentare la sua corsa verso le rinnovabili. Infine il futuro. Mentre il premier scozzese Alex Salmond ha detto “no” al nucleare a seguito del voto del Parlamento di Edimburgo, nel resto della UK è appena iniziato un nuovo programma nucleare civile. Il parco di centrali copre il 18% del fabbisogno energetico della UK, ma è vecchio, e sarà totalmente smantellato e rinnovato (da una joint-venture franco-cinese) da qui al 2030. Per avere un’idea sui costi di questa operazione, l’Italia ha pagato 100 MLD di € la dismissione delle sue centrali nucleari, che fornivano il 10-12% dell’elettricità nazionale…
Se il 18 settembre dovesse prevalere il Sì a favore dell’indipendenza, quale dei due governi pagherà questo ed altri costi straordinari?