I media trasmettono e riportano quotidianamente, oramai da mesi, le disumanità che il nuovo Stato Islamico, va compiendo indistintamente in Medio Oriente prima, Europa poi ( si vedano i recenti attentati di Parigi e Copenaghen), e nella settimana appena trascorsa in Libia.
Cosa ancor più sconcertante sta nelle migliaia di adesioni alla causa fondamentalista da parte di cittadini europei (se di causa si può ragionevolmente parlare), siano questi italiani, francesi, inglesi o belga.
Tuttavia, dato ancor più significativo dal punto di vista simbolico oltre che militare, è rappresentato da coloro i quali abbiano deciso, pur essendo “semplici civili”, di arruolarsi come foreign-fighters, questa volta, però, contro il Califfato.
L’italiano Marcello Franceschi, venticinquenne marchigiano, di Senigallia, dapprima volontario per il progetto “Rojava Calling”, programma operante all’interno dei campi profughi al confine tra Turchia e Siria, ha successivamente aderito totalmente alla causa curda, affiancando i Peshmerga nella lotta all’ISIS, spinto tanto dalla rabbia prodotta dalle barbarie degli “uomini in nero”, quanto dalla voglia di essere un ulteriore sostegno per la resistenza curda proprio contro questi.
Volgendo lo sguardo oltre la Manica, in Inghilterra, i due fratelli Poland e Lahur Talabani, londinesi a tutti gli effetti, rappresentano un fervido esempio di come sia possibile lasciare indietro una parte della propria vita, allo scopo di intraprenderne una nuova, più difficile, rischiosa e radicalmente differente rispetto a quella precedente. I fratelli Talabani sono nipoti dell’ex presidente iraqeno Jalal Talabani, in carica dal 2005 al 2014, succedutosi, soltanto in linea temporale e non per ideologia, a Saddam Hussein, dittatore dal quale la famiglia dei due fratelli scappò trasferendosi proprio a Londra.
Da una parte, quindi, Poland Talabani, laureatosi presso il Bromley College di Londra divenuto ingegnere meccanico, dall’altra Lahur Talabani, specializzatosi in Business Management presso la Greenwich University. Ad oggi, lasciata Londra, il primo è stato nominato leader delle forze armate speciali del Kurdistan, ormai regione autonoma dell’Iraq, mentre il secondo è stato posto a capo del Servizio di Intelligence Governativa della regione del Kurdistan.
Il coraggio mostrato da questi uomini, la forza di cambiare vita per uno e di tornare alle proprie origini per gli altri, allo scopo di combattere un nemico crudele e privo di alcun tipo di rispetto per quelli che sono i diritti “minimi” inviolabili di ogni individuo, non può che essere oggetto di ammirazione da parte di tutti quelli che verranno a conoscenza delle loro storie e non può che renderli testimoni di come la speranza sia davvero l’ultima a morire. E oggi, più che mai, è necessario crederci.