Il fenomeno dell’Home Sharing ovvero della messa a disposizione della propria abitazione ad altri utenti appartenenti alla stessa piattaforma online di condivisione (di cui Airbnb è solo la più famosa) si sta diffondendo in maniera esponenziale e sta contribuendo in maniera importante allo sviluppo turistico di città come Milano, tradizionalmente orientate ad altri settori.
La forte crescita e le nuove modalità di viaggio che prediligono un’offerta ricettiva non alberghiera hanno anche sollevato l’attenzione del fisco e degli albergatori, che non sembrano beneficiare del nuovo business e, specie questi ultimi, contestano agli host (ovvero coloro che pubblicano gli annunci sulle piattaforme di condivisione) l’aggiramento dell’intricata burocrazia italiana accusandoli di abusivismo ed evasione.
Non è passato molto dalla bocciatura dei cosiddetti emendamenti Airbnb che volevano imporre un Registro nazionale presso l’Agenzia delle Entrate di tutti gli host e la cedolare secca obbligatoria al 21%, nonché l’applicazione di una ritenuta da parte delle piattaforme elettroniche che gestiscono gli affitti online.
Come stanno veramente le cose, possibile che tutti coloro che hanno pubblicato un annuncio su Airbnb siano evasori e violino le normative amministrative?
Quali sono le modalità per i piccoli proprietari di casa che vogliono sfruttare il fenomeno dell’home sharing per essere in regola vengono spiegate nel libro di prossima pubblicazione edito da Maggioli Editore “Sharing Economy: L’Home Sharing e la tassazione degli host di Airbnb e simili”.
Nel manuale vengono spiegate come sono inquadrate, dal punto di vista amministrativo, le diverse tipologie di strutture ricettive extra-alberghiere e quando si debba parlare di attività economica imprenditoriale e quando invece si possa intendere attività occasionale che non richiede la partita iva.
La trattazione, alla luce della recente giurisprudenza comunitaria, pone poi il grande tema del rischio di riqualificazione come attività imprenditoriale per coloro che di fatto fanno casa vacanze o B&B in quanto prestano servizi alla persona come il cambio giornaliero della biancheria o la pulizia.
Una volta illustrato come sia ammissibile, seppur complicato, lo svolgimento non imprenditoriale della locazione breve senza sottostare alla normativa amministrativa, vengono esposte tutte le formalità che devono comunque essere rispettate, come la comunicazione degli ospiti alla Questura e il pagamento della tassa di soggiorno.
Nel caso in cui si effettuino degli affitti brevi allora si potrà dichiarare il reddito come fondiario e applicare la cedolare secca al 21% come chiarito già nel 2011 dall’Agenzia delle Entrate.
Sul punto, viene evidenziato, come sia stato lo stesso Ministero dell’Economia ad ammettere la cedolare secca anche nel caso di ricorso ad un’agenzia di mediazione immobiliare che poi si occupi anche della gestione dell’immobile e quindi della sua manutenzione e pulizia.
Viceversa, se non c’è altra possibilità che aprire la partita IVA e presentare la SCIA, sarà comunque possibile ricorrere al regime forfettario che per i primi 5 anni prevede una tassazione ridotta al 5%.
Un calcolo di convenienza complessivo dovrà poi tenere conto delle agevolazioni fiscali sull’acquisto e la ristrutturazione dell’immobile da affittare di cui potrà beneficiare solo il proprietario nella sua c.d. “sfera privata”.
Ogni valutazione fatta oggi dovrà necessariamente tenere conto del fatto che le regole del gioco probabilmente cambieranno presto, anche se si potrà ragionevolmente essere tranquilli sul fatto che qualsiasi intervento prevederà modalità sostitutive di tassazione in forma ridotta rispetto alla tassazione ordinaria.
E’ chiaro che non ci sarà spazio per l’evasione di quanto incassato tramite le piattaforme online, posto che tutte le somme sono tracciate e sono quindi facilmente accertabili. L’ipotesi più probabile è che verrà presto introdotta una ritenuta che verrà automaticamente applicata dalla piattaforma quale sostituto di imposta.
Questa soluzione all’italiana non entrerebbe nel merito dell’esistenza o meno di un’attività organizzata in forma d’impresa e della questione previdenziale, ma semplificherebbe gli adempimenti degli host, garantirebbe un flusso certo all’erario e probabilmente aumenterebbe gli oneri della piattaforma che però già oggi è obbligata a richiedere una partita iva in Italia.
Maurizio Secco