Il 2020 dei mercati finanziari

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Mai come in questo 2021 il desiderio di lasciarci alla spalle l’anno appena trascorso pervade tutti noi, come se bastasse voltare pagina del calendario per ritornare ad una vita normale. Sappiamo bene che non sarà così anche se la campagna vaccinale ci consente un cauto ottimismo.

Chi invece non si è scomposto più di tanto in questo 2020 sono stati i mercati finanziari che dopo il pesantissimo colpo accusato in marzo hanno inanellato un recupero che sembra aver dato l’abbrivo anche al nuovo anno.

Diamo il giusto peso a quanto accaduto con il grafico sotto che mostra l’indice VIX (detto indice della paura). Nel Marzo dell’anno scorso questo indicatore ha raggiunto livelli conosciuti negli ultimi trent’anni solamente nella crisi finanziaria del 2008/2009.

A differenza di allora, questa volta l’indicatore si è aggirato sui massimi solo per un paio di settimane per poi rientrare rapidamente, grazie soprattutto agli interventi cospicui e rapidi messi in campo dalle autorità monetarie. La disponibilità all’interventismo ha fornito enormi rassicurazioni ai mercati finanziari che si trovano tuttora in una situazione di favore.  Da una parte vi sono i tassi negativi che spingono flussi di denaro sui mercati e dall’altro vi sono le politiche delle banche centrali che proprio nel tentativo di farli salire, agevolano ulteriormente la propensione al rischio.

D’altra parte gli obbiettivi di inflazione sono lontani e le banche centrali si sono più volte dette disposte a usare qualsiasi strumento disponibile o a inventarsene di nuovi.

Evidente che quanto stiamo vivendo strida con il contesto di un’economia reale, anche se è probabile che il prossimo futuro ci riservi degli argomenti per riportare ad una logica il rapporto tra finanza ed economia. Proviamo a capire questo passaggio attraverso l’indicatore che più di qualsiasi altro spiega il loro legame, il rapporto P/E di Shiller, che indica al numeratore le quotazioni di mercato e al denominatore gli utili delle aziende.

Il livello attuale di questo indicatore sull’indice tedesco Dax è pari a 66 contro una media negli ultimi 10 anni di 18. A prima vista, un livello così elevato dovrebbe suggerire di stare alla larga dal mercato tedesco che presenta elevate quotazioni a fronte di scarsi utili prodotti.

E’ però necessario addentrarsi nelle ragioni di un valore così anomalo rispetto alla sua media per avere una chiave di lettura.

Nel corso del 2020 a causa degli eventi legati alla pandemia, le aziende tedesche hanno prodotto un livello di utili pari a solo un terzo rispetto al 2019 (207 mld contro 570), mentre le quotazioni dell’indice, dopo il tonfo di marzo, sono tornate ai livelli di inizio 2020.

La cosa più interessante e che in parte giustifica i valori delle quotazioni, sono gli utili attesi per il 2021 pari a 866 mld. Se questo livello fosse raggiunto, con le attuali quotazioni di mercato si tornerebbe ad un valore di P/E di 16, mentre per un ritorno alla media degli ultimi 10 anni, le quotazioni del Dax dovrebbero raggiungere i 15.500 punti (circa il 10% dai valori attuali).

Evidente dunque che il percorso per raggiungere l’ambizioso traguardo, sarà determinante per le sorti dell’indice tedesco; dati economici non confortanti già nel primo trimestre dell’anno obbligherebbero gli operatori a rivedere al ribasso le strategie di investimento, mentre risultati in linea con le aspettative, oltre a dare una logica al percorso sin qui fatto, potrebbero offrire nuovi spunti di riflessione, magari su un argomento accantonato sino ad oggi come l’inflazione.

A dire il vero, la curva dei rendimenti già ci offre qualche riflessione a riguardo:

La curva centrale rappresenta l’attuale andamento ed evidenzia un sostanziale scostamento dai livelli di solo inizio anno (curva sotto), suggerendo una certa fibrillazione da reflazione. La curva tratteggiata in alto è invece il livello di inizio 2020 e la sua distanza ci fa capire che non sono problemi per l’oggi, si dirà, ma il dibattito nella Fed su come reagire è già iniziato. Si aprono tre strade, una classica, una distopica e una intermedia. La strada classica è quella di un ripristino graduale della normalità monetaria, con tassi reali che risalgono determinando una traslazione verso l’alto della curva. La seconda è quella di un’inflazione che sale e di una Fed che reagisce in modalità MMT inchiodando sui livelli attuali tutta la curva, aumentando, se serve, gli acquisti di titoli con creazione di base monetaria. È distopica, perché distorce sempre di più il mercato, crea caduta del dollaro, bolle e turbolenza e richiede interventi sempre più estesi da parte di governi e banche centrali. La terza strada, la più probabile, è una via intermedia in cui la Fed mantiene a zero i tassi a breve e autorizza i tassi a lungo ad accompagnare l’inflazione al rialzo ma senza mai raggiungerla, mantenendo cioè negativi anche i tassi reali a lungo.