Il Fattore Umano: Costruire Nuove Memorie, Identità Tv

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Un esordio totalmente diverso dagli anni precedenti per il Congresso Internazionale di Cucina e Pasticceria d’Autore, nato a Milano nel 2004, che è tornato a fare degli artisti del gusto – ben 140 tra chef, gelatieri, pasticcieri, pizzaioli e naturalisti – i protagonisti di tre intense giornate. La loro cucina, ma soprattutto le loro esperienze di vita, la loro filosofia e il loro percorso umano hanno riscaldato le sale e i fornelli del MiCo e il tutto ruotando attorno al concetto di memoria. Il tema di questa nuova edizione è, difatti, Costruire nuove memorie: “la memoria non è solo nel piatto ma è anche quello che avviene intorno alle forme di comunicazione del piatto stesso” e degli artisti che a quel piatto hanno dato forma, ha esordito Paolo Marchi, ideatore e curatore di Identità Golose.

Costruire nuove memorie collettive è quanto sognano e sperano di fare gli chef di oggi. Quando pensano e creano nuovi piatti, si trovano inevitabilmente a fare i conti con la tradizione, con un passato “consolidato” fatto di memorie, echi di persone e luoghi in cui tutti si possono riconoscere, ma al contempo aspirano a creare qualcosa di nuovo che possa diventare a sua volta tradizione.

Ed è proprio il ricordo della memoria collettiva del cibo, quella che si è sedimentata attraverso la televisione, i cui palinsesti sono oggi dominati dai programmi di cucina e sfide a colpi di ricette, il fil-rouge della sezione Identità tv – 60 anni di alta qualità a tavola moderata da Federico Quaranta. Il connubio tra cibo e tv ha dato l’avvio ufficiale all’appuntamento dedicato alla cultura enogastronomica più importante d’Italia. Un esordio poco canonico, a fornelli spenti e telecamere accese.

Tutto ebbe inizio lungo il Po.

Paolo Marchi da quindi il via ad una non scontata riflessione sulla storia dei programmi televisivi culinari, interrogandosi su quando la cucina è entrata in tv per la prima volta – e ciò non è di certo avvenuto con Masterchef. Era il 1957, quando quel personaggio poliedrico che ha rappresentato una figura importante nel panorama culturale del 900, come Mario Soldati, ha dato l’avvio al filone teleculinario – che da allora è rimasto un format sempreverde – con il suo “Viaggio nella valle del Po alla ricerca dei cibi genuini”. È stato il primo reportage gastronomico della Rai, un viaggio in sole 12 puntate sviluppatesi lungo le metaforiche sponde del Po, la cui corrente disegnava l’identità culturale del nostro paese attraverso il lavoro dei ristoratori e dei contadini che abitavano lungo il fiume. Solo 12, ma che hanno avuto la potenza di rimanere impresse nella memoria collettiva grazie ad uno storytelling ante litteram. Per tale motivo, sottolinea Paolo Marchi, si è scelto di partire da questo tema.

Con Soldati si parlava già di enogastronomia come racconto di un territorio e della sua cultura dove “l’elemento narrativo era il vero punto di valorizzazione del tema”, elemento che negli attuali format televisivi è andato sfumando, dando loro un taglio completamente diverso. A dominare la scena televisiva non è più il racconto ma il concetto del gioco e della gara come ci informa l’intervento di Davide Rampello, curatore e direttore artistico del congresso. Si tratta di un altro modo per incuriosire e attirare il pubblico, una nuova opportunità perché “anche se in maniera diversa, questo ha focalizzato di nuovo l’attenzione sul cibo, ha riportato la gente a riconsiderarlo e a tornare a cucinare, cosa che si era persa. E gli chef sono tornati modelli per i giovani”.

La televisione italiana ha però proseguito questo racconto realizzandolo in studio, che diventa il nuovo luogo della narrazione. È nel 1999 che iniziano le trasmissioni Gambero Rosso, il primo canale satellitare ad occuparsi di Food Tv. Lo storico direttore del canale Stefano Bonilli, gastronomo visionario fondatore della rivista Gambero Rosso e del movimento Slow Food insieme a Carlo Petrini, invita in studio Chef stellati come Nadia Santini e Gualtiero Marchesi.

Masterchef, nulla è stato più come prima.

È in questo contesto che nasce il format di intrattenimento factual più popolare a livello globale, Masterchef. Entrato nel Guinness World Recordstm come “il Format Tv culinario più di successo al mondo”, Masterchef è stato in grado di rivoluzionare il paradigma della cucina in televisione, da sempre mediata dal canonico conduttore che serviva ad agevolarne la fruizione. La prima puntata fu trasmessa il 2 luglio 1990 nel Regno Unito, mentre è arrivato in Italia solamente nel 2011. Attualmente è trasmesso in ben 200 Paesi e in Italia è giunto alla sua ottava edizione. Come tutti sanno, lo show segue il percorso di alcuni talentuosi chef amatoriali di diverse età ed estrazione sociale mentre gareggiano per assicurarsi il titolo di vincitore di MasterChef.

Ma perché è un format di successo tale da aver creato un lessico e dei tormentoni (impiattamento, mappazzone, io muoro), diverse estensioni di grande successo (Junior, Celebrity, The Professionals e All Stars) e due permanent restaurant a Madrid e a Dubai?

“Il segreto del successo di Masterchef è racchiuso nel concept, lo stile diventato icona», ci spiega Dante Sollazzo, responsabile dell’Intrattenimento di Endemol Shine Italy, braccio destro italiano della società che ha sviluppato il marchio e produce il talent. “Format nato nel 1990, in quasi 3 decenni ha costruito una platea di 300 milioni di spettatori da 200 paesi. Lo ha fatto con una mossa molto innovativa per l’epoca: l’assenza di un conduttore, e la fedeltà a una filosofia particolare perché inedita fino ad allora: Ordinary people doing extraordinary things under real pressure” continua Sollazzo, elencando i tre punti chiave del successo che hanno settato un benchmark, un vero e proprio cambiamento radicale nel modo di raccontare il food in televisione “Per la prima volta la cucina non è raccontata alla maniera di un tutorial: il racconto è espresso da gente normale che sogna un riscatto. Vi è l’elemento della competizione culinaria associata ad un montepremi, non più una semplice sfida giocosa come alla prova del cuoco. Hanno fatto scuola anche la riconoscibilità look & feel dell’atmosfera e dello studio coi suoi colori arancio, rosso, legno e lo stile industriale che hanno settato un immaginario collettivo tanto che oggi diversi bistrot ricordano l’impianto visivo di Masterchef. Ultimo elemento è l’iconicità degli elementi che identificano fortemente il brand Masterchef (mistery box, invention test, pressure test). E poi è stato uno dei primi programmi ad aver contribuito al dilagare del concetto di food porn in televisione, inventato un nuovo lessico, imposto da persone comuni che vengono e cucinano”.

Il successo Masterchef è anche dato dai suoi giudici. È il primo prime time di cucina della Tv italiana che ha scelto di non avere una conduzione canonica puntando, invece, su chi più di chiunque altro potesse garantire autenticità e veridicità al giudizio sui piatti. Così si sono scelti 3 / 4 giudici non televisivi provenienti dal mondo della cucina, che si sono rinnovati nel linguaggio e nell’esecuzione nel corso delle stagioni.

A salire sul palco di Identità TV è stato proprio uno degli iconici giudici di Masterchef Italia, “il burbero giudice dal cuore d’oro” due stelle Michelin Antonino Cannavacciuolo, entrato nella squadra alla quinta edizione. “Fare tv è tremendamente complesso ma anche molto appagante” dichiara Cannavacciuolo “c’è dietro un gruppo di 150 persone, che lavorano ininterrottamente per noi. Inizialmente temevo un po’ ad accettare perché la tv ti può dare tanto ma ti può anche ammazzare: oggi sei un eroe, domani ti affossano.” E continua dando un consiglio a chiunque voglia intraprendere questa strada, soprattutto in televisione “Bisogna essere se stessi, quello che racconti in televisione deve trovare riscontro nella realtà, devi parlare come mangi. Ed è importante stare bene, ci vuole un grande allenamento, sia a livello mentale che fisico: io mi tengo in forma correndo 50 km a settimana, ho tolto alcol e sigarette. Ho 25 kg in meno ed è tutto il frutto di lavoro, dedizione, allenamento e grande serietà” e conclude “All’inizio ero scettico nei riguardi della televisione, pensavo che fare tv avrebbe tolto qualcosa al mio mondo della ristorazione. Invece il successo sta aiutando il mio sogno: sono riuscito a creare due bistrot, creare nuovi posti di lavoro e aiutare qualcuno a realizzare i propri sogni sempre nell’ambito della gastronomia. Ho portato il successo della televisione nelle mie attività, e questo mi porta grandi soddisfazioni”.

Rompere gli schemi: la prova del cuoco.

In onda ininterrottamente dal 2000, la prova del cuoco è la prima trasmissione italiana dedicata interamente ai fornelli. Diventata “un’utile palestra gastronomica anche per i telespettatori” è stata condotta per ben diciotto anni da Antonella Clerici, “la signora della cucina in televisione” che è riuscita a portare la cucina e i cuochi nelle case di tutti all’ora di pranzo. “Un programma in cui all’inizio non credeva nessuno. Dicevano che la cucina non avrebbe mai funzionato in televisione”. Invece si è rivelato un successo ed è diventato uno dei programmi leader del mezzogiorno televisivo. La ricetta del successo? Fare una trasmissione per la gente, semplice e creativa. “Non ho mai fatto trasmissioni per l’establishment, i miei piatti erano accessibili a tutti”.

Anche la radio gioca il suo ruolo nella narrazione enogastronomica. Davide Oldani, Chef della “cucina pop” attualmente impegnato in radio con Mangia come parli con Pierluigi Pardo, interviene accanto alla Clerici sostenendo che “la radio sia un modo per raccontare la cucina in maniera semplice”.

Una linea sempre verde.

Linea Verde è un programma partito con La Tv degli agricoltori degli anni ‘50, ha proseguito con A come Agricoltura e Agricoltura domani e infine ha assunto l’attuale titolo, mantenendo ancora oggi oltre il 20% di share. “C’era bisogno di raccontare un’Italia agricola, bisognava mettere in relazione gli agricoltori, e i loro prodotti, con i consumatori, tenendo d’occhio sia il prezzo che la salute. Iniziavano le prime ricerche sull’ambiente e sui processi di produzione” racconta Federico Fazzuoli, fondatore e conduttore del programma dal 1981 al 1993 “Il mio intento era fare percepire Linea Verde come un programma per tutti e non solo per gli agricoltori cui si rivolgevano le trasmissioni di cui prendeva il posto. Ma per prima cosa tolsi la parola agricoltura dal titolo. Il nostro obiettivo era la gente, che doveva con le sue scelte influenzare l’agricoltore”. L’intervento prosegue con un excursus sul programma e sulle caratteristiche che lo hanno reso importante, come il mettere al centro i paesaggi rurali, intesi come grandi monumenti italiani, narrare il territorio attraverso gli orti, gli allevamenti e i campi per avvicinare l’agricoltura alla gente. “La televisione è un occhio che senza mediazione può far vedere le cose. Io mi definivo un fotografo della realtà, quello che vedevo raccontavo.”
Un’interessante riflessione riguarda la percezione del gusto attraverso la visione dei programmi di cucina: “davanti alla Tv viene spontaneo affermare: quanto sembra buono quel piatto. Ma quel gusto viene dalle materie prime o è un’aggiunta del cuoco con magari qualcosa che non è nemmeno così salutare?” L’importanza delle materie prime è un messaggio che dovrebbe passare sempre, in ogni trasmissione culinaria, soprattutto in quelle più seguite. “Oggi il racconto dell’agricoltura è cambiato, ma l’impostazione dovrebbe essere la stessa perché le materie prime sono importanti e conoscerle potrebbe aiutare la gente ad ammalarsi di meno. Per questo l’agricoltura biologica deve diventare l’Agricoltura, non ci deve essere un altro tipo di agricoltura, la gente deve stare bene. Oggi si può fare il vino senza solfiti, perché non andiamo avanti per questa strada? L’Italia, paese del buon cibo, dovrebbe guidare questi processi”. Nulla da obiettare. Niente di più vero.

La cucina in televisione compare anche nel mondo sincopato e movimentato dei notiziari, che la inseriscono nei momenti di massimo ascolto. Uno dei rappresentanti più importanti del filone di notizie e cucina è Gioacchino Bonsignore, giornalista, scrittore e caporedattore di Gusto Tg5 «L’inserimento di Gusto fu un’intuizione di Enrico Mentana e Lamberto Sposini che decisero di dedicare uno spazio di ben 5 minuti di un Tg che ne durava 30 all’enogastronomia, una scelta rivoluziona che ha portato delle tematiche che fino a quel momento erano appannaggio esclusivo di altro”, racconta Bonsignore. In quegli stessi cinque minuti fu successivamente inserita anche la realizzazione di una ricetta. “Anche quella fu una grande intuizione, per la quale impiegammo del tempo per arrivare a condensarla in 1’10’’ al massimo. Questo ha contributo al grande successo di Gusto, le persone hanno incominciato a vedere come preparare e replicare in 60 secondi uno spaghetto aglio, olio e peperoncino. Solo qualche anno dopo arrivò Benedetta Parodi con Cotto e mangiato”.

Il lato dolce in tv.

Raccontare la pasticceria in televisione è estremamente complicato in quanto “un dolce è chimica, fisica e matematica”. Alcuni sono però riusciti a trasformare il racconto del dolce in un programma di successo: è il caso di Clelia D’Onofrio, giornalista e scrittrice, e il pasticciere allievo di Gualtiero Marchesi Ernst Knam, entrambi giudici di Bake Off Italia. “La ricetta del nostro programma è stata di mettere tra gli ingredienti la pazienza e un linguaggio educato, fine e per bene” afferma sorridendo Clelia D’onofrio, sottolineando un aspetto critico dell’essere giudice: “Quello che mi ha più responsabilizzata nel partecipare a Bake Off è il rapporto con i concorrenti. Alcuni vengono perché vogliono fare della pasticceria il loro mestiere, è davvero intenso il loro desiderio di raggiungere questo risultato. Il punto è, come si fa a mortificare una persona che crede in quello che sta facendo e dirgli di cambiare mestiere se ci si accorge che non sono poi così “speciali”, pur essendo cuochi amatoriali preparati?”.
Per chi non lo sapesse, Bake Off è un talent show culinario italiano, in onda dal 2013, che propone una sfida di cucina all’ultimo dolce, tra pasticceri amatoriali, per dimostrare chi sia il migliore. Quel che viene fuori dalla testimonianza dei suoi giudici è che il fondamentale è sempre il racconto, la narrazione. “Bake Off è un programma indirizzato alle famiglie, amato dai bambini agli ultranovantenni” dove “Al mio amico Ernst spetta la tecnica, a me – dice Clelia – l’aspetto narrativo perché pur non essendo una storica della cucina, ho letto davvero tanto”. Importante, tuttavia, come sottolinea Knam “è non parlare troppo tecnicamente e essere noi stessi che non siamo attori, ma pasticcieri e cuochi, chiamati per trasmettere in televisione quello che facciamo nella vita professionale. Solo così possiamo arrivare al pubblico, essendo noi stessi e parlando in modo semplice.” L’intervento si conclude con un consiglio di Clelia ai giovani “Dovete studiare. In un momento di poca cultura chi sa di più ha più probabilità di riuscire.”

La rivoluzione di Netflix.

Tutto cambia, cambiano anche i modi di affrontare la comunicazione televisiva e di come arriva all’interno delle case. Con Netflix si passa dal viaggio nella storia della televisione all’avvento della piattaforma di distribuzione di contenuti online più usata a livello mondiale, che ora affronta il mondo della cucina con un impegno economico senza pari. Ormai si può dire che “Chef’s table” – la serie di documentari Netflix che scava nella vita e nei piatti degli chef più visionari provenienti da ogni angolo della Terra – fa più curriculum di tre stagioni da giudice di MasterChef al professionista dei fornelli che ne diventa protagonista. Grazie a Netflix, la storia di Corrado Assenza, il pasticcere siciliano che ha brillantemente riportato al centro del discorso dolciario l’artigianalità e l’importanza delle materie prime, è arrivata così in tutto il mondo, rivoluzionando la clientela del Caffè Sicilia a Noto, ora proveniente da ogni nazione. Dodici giorni di riprese per nove ore al giorno dai quali sono stati tratti i 48 minuti dell’unico episodio di The Chef’s Table Pastry (candidato agli Emmy): 1 milione di budget, 100 ore di girato, due mesi di post-produzione per arrivare al prodotto finito. E questo ha portato ad un incremento di flussi turistici multiculturali incredibile per la barocca cittadina di Noto, dalla famiglia di Saigon trascinata dai figli alla coppia israeliano-libanese che vuole comprarvi casa; dal laureando ingegnere tecnico tedesco per cui Assenza è stato fonte d’ispirazione. “Sono sicuro che un nano incremento del PIL Italiano del 2018 è dovuto anche a Chef’s Table” afferma il Maestro Assenza, come lo chiamano ormai in tanti, “devo però tutto alla mia terra, la Sicilia, alla generosità delle sue persone, dagli agricoltori ai miei maestri professionali. Devo tutto alla cultura materiale popolare Siciliana. Il common sounding dopo Netflix è stato: grazie per l’ispirazione che ci hai dato”.

Non solo Tv, il futuro è sempre più social.

L’ultima tappa del viaggio non poteva che approdare all’iperconnesso mondo dei social. A salire sul palco è la giovane 23enne Isabella Potì, che sebbene incarni una generazione che vive sugli smartphone, è oggi head chef di Bros a Lecce, 1 stella Michelin. “Sono nata con il telefonino in mano e per me è normale”, risponde con naturalezza Potì, che utilizza i social come veicolo di comunicazione strategico vincente per il proprio business gastronomico.

Ma come si fa a comunicare con successo il mondo della cucina su luoghi virtuali di iper-consumismo?

“Noi raccontiamo la nostra quotidianità sui social, quello che succede durante la giornata lavorativa nel nostro ristorante. Comunichiamo senza fronzoli la nostra professione, che è quello che chi ci segue vuole vedere perché è interessato all’identità e alla storia di Bros” spiega “La nostra comunità, che è fatta dai nostri clienti, vuole essere partecipe della nostra routine”. Non solo quindi sequenze di scatti attrattivi, video concisi ed esplicativi, ma tanta autenticità e una storia da raccontare.

 

Giulia Marcellini