Si chiamava Khalid e le notizie su di lui sono ancora tante (troppe forse) e confuse. Quello che si sa per certo è che la barca su cui viaggiava dalla Turchia alla Grecia lo scorso 2 gennaio è naufragata al largo dell’isola ellenica Agathonisi. Immagini, quelle scattate dai primi soccorritori, che hanno portato alla memoria la drammatica morte di Aylan, il bambino siriano di 3 anni morto sulla spiaggia di Bodrum (Turchia) lo scorso settembre.
Una tragedia, quella delle migrazioni di massa, che ci ha accompagnato per tutto il 2015, raggiungendo spesso numeri vertiginosi che hanno messo in seria difficoltà le istituzioni europee. Meno di una settimana fa, alle porte del nuovo anno, invece, abbiamo avuto la conferma che quello dei migranti sarà un problema sociale che ci porteremo avanti anche per tutto il 2016.
Proprio come testimonia la storia di Khalid, 2 anni, che secondo la Guardia Costiera Greca e il MOAS (Migrant Offshore Aid Station), veniva dalla Siria, come gli altri 39 profughi trasportati dalla piccola imbarcazione che si è schiantata sugli scogli dell’isola greca all’alba di sabato.
“Nulla ci può preparare a questa terribile realtà. Oggi ci siamo trovati faccia a faccia con una delle vittime più giovani che abbiamo mai soccorso. Non dimentichiamoci che queste persone scappano dalla guerra e dalle condizioni di vita miserabili cui sono costrette”, ha detto Christopher Catrambone, fondatore di MOAS.
I pescatori della zona, i primi a notare il relitto in mare, si sono trovati a soccorrere anche un bambino di appena tre mesi, sopravvissuto allo schianto ma ricoverato in ospedale per una grave ipotermia.
Prima Aylan, ora Khalid. I giovanissimi volti di un dramma internazionale che in 12 mesi ha condannato a morte quasi 4000 persone in cerca di una nuova vita.