Devadasi significa “serva della dea”, della dea Yellamma, in particolare, la dea Hindu della fertilità.
Essere una Devadasi significava devolvere la propria intera esistenza alla dea, imparando danze, musica classica, riti e pratiche molto apprezzate.
Oggi Parvatamma è una devadasi, lo si può capire anche dalla collana di perle bianche e rosse che le accarezza il collo; ma Parvatamma è anche una prostituta che ha avuto una figlia a 14 anni e che ha contratto l’AIDS.
Diventare Devadasi implica un matrimonio sacro con la dea; questo rito può avvenire anche prima dei 5 anni d’età. Al seguito del matrimonio, la bambina diviene una devadasi devota alla dea e non può più prendere in matrimonio un mortale.
Storicamente, la devadasi trascorreva le giornate tra il tempio di Saundatti e le ricche case dei villaggi, onorata e riverita.
La tradizione secolare ha lentamente visto le crepe della banale umanità formarsi sulla sua facciata di divinità; lentamente, il sistema delle devadasi ha mostrato sempre più corruzione all’interno dei suoi ranghi.
Gran parte del cambiamento è stato dovuto all’influenza coloniale che ha privato di potere i governanti e le istituzioni locali.
Quando la pratica è stata dichiarata illegale nel 1988, il sistema era ormai diventato in gran parte una farsa utilizzata per offrire concubine a ricchi uomini locali. Le stesse famiglie di provenienza ormai vedevano il sistema più come una comoda manovra per liberare la numerosa stirpe di un peso, generando un reddito.
Oggi le devadasi provengono dalla casta degli “intoccabili”, una delle caste più basse nel sistema indiano; intoccabili non perché troppo potenti, ma perché troppo in basso perché chiunque voglia toccarli.
Parvatamma, ormai troppo debole per lavorare, è tornata al suo villaggio; ricorda come, appena raggiunta la pubertà, la sua verginità sia stata venduta al miglior offerente; come era accaduto a sua madre prima di lei, come accadrà a sua figlia dopo lei, nonostante la pratica sia ormai vietata.
Le serve della dea sono bambine-prostitute costrette a vendersi per centesimi, quando ne hanno la forza, e chiedere l’elemosina, quando la stanchezza e le malattie prendono il sopravvento.
Superati i 45 anni, non sono più ritenute attraenti e solitamente non resta loro che vivere per strada.
Le più “fortunate” sono le devadasi che riescono a raggiungere un’età avanzata e riescono a diventare jogathis, anziane venerate per la loro conoscenza di arti, musica e tradizioni.
Chennawa non è stata così fortunata. Ha 65 anni e per la sua sopravvivenza deve fare affidamento sui pochi tozzi di pane lanciati dai passanti.
Diventata una devadasi a 12 anni, Chennawa è stata costretta da subito a dormire con uomini molto più grandi di lei, inviando i pochi soldi guadagnati alla famiglia.
“La mia famiglia?” Dice la donna con un sorriso amaro, toccando la ciotola delle offerte per controllare se qualcuno abbia lasciato qualcosa. “Mia madre era una devadasi a sua volta, sapeva a cosa andavo incontro e mi ha mandato sulle strade ad essere presa a calci, picchiata e violentata. Non voglio più venerare questa dea, voglio solo morire.”
Vimochana, un’organizzazione umanitaria dedicata all’eradicazione del sistema delle devadasi, stima in India vi siano attualmente 48.358 donne votate alla dea Yellamma; nonostante la pratica sia fuorilegge, le famiglie e i preti continuano ad effettuare le cerimonie di voto in segreto, molto spesso nelle stesse case dei preti, in quanto profittevole per loro.
48.358 donne vittime del sistema delle caste, dell’egoismo familiare, della corruzione sociale e religiosa.
Vimochana è stata fondata nel 1991, ponendosi come obiettivo primario quello di impedire che i ranghi delle devadasi si alimentassero di nuove devote. Costruendo una scuola residenziale nella sua stessa abitazione, BL Patil, il fondatore, ha permesso a oltre 700 bambine di ottenere una formazione, consentendo loro di diventare insegnanti o infermiere.
Nonostante le vigorose proteste dei vicini di casa, che non tolleravano l’idea di vivere accanto a delle “intoccabili”, Vimochana ha salvato la vita di almeno 300 bambine, ora perfettamente integrate nella società.
“Questo è stato possibile anche grazie al supporto ottenuto da tutto il mondo tramite il nostro sito”, riferisce BL Patil.
È possibile ottenere informazioni sull’operato di Vimochana e offrire supporto tramite: vimochana.net
Roopa è stata votata alla dea all’età di 9 anni, con il matrimonio sacro; come da rito, le è stata garantita la protezione della dea. Come da rito, la sua verginità è stata venduta all’asta.
“La prima volta non è stata molto facile”, racconta Roopa, che ora ha 16 anni. “L’uomo mi ha lacerato lì con un rasoio.”
La pretesa religiosa che ricopre i riti di devozione alla dea della fertilità serve più a contenere i rimorsi delle famiglie che mandano le loro bambine sulla strada, che altro.
Bambine-prostitute rivestite di abiti e perle tanto vuote quanto l’esistenza nelle quali vengono scaraventate; giovani sante devote ad una dea invisibile; le devadasi sono l’emblema di una cultura alimentata dalla povertà estrema e dall’ipocrisia sociale e religiosa.
Bambine provenienti dalla casta degli intoccabili, ironicamente destinate ad esser toccate da chiunque possa pagare il misero prezzo imposto.
Prendere coscienza di realtà così atroci, eppure così banalmente comuni, è un primo, importante passo verso un’umanità più evoluta.
Un’umanità che non violenti più le dee da essa stessa venerate.
Le devadasi sono questo: dee, costrette a vendersi per centesimi.