“Quando pregi e difetti convergono emerge la tua qualità migliore, nel mio caso la faccia tosta.” Sembrerebbe l’incipit di un best-seller, potrebbe esserlo, invece incontriamo questa bellissima definizione grazie alle parole di un personaggio che non ha bisogno di stucchevoli presentazioni. Nicola Santini è docente, giornalista di costume, collezionista d’arte, opinionista tv – con lo spazio “da trash a chic” nel format di Rai due “Detto fatto”, e non da ultimo scrittore di successo, quando decide di regalarci uno squarcio sul mondo del bon ton, dei social network facendo emergere una personalità estremamente poliedrica e creativa. Nella quale convivono aspetti collegati da un fil rouge tangibile che dà senso a uno spirito che non si risparmia mai, masticando chilometri e paesaggi, ma soltanto quelli del cuore. E se volessimo andare al di là dell’immagine veicolata dai filtri della tv diventa quasi istintivo comprendere che Nicola affronta ogni sfida restando fedele ad un’unica compagna di vita: la verità. I suoi giorni accompagnati dall’essenziale, a turno scartano e sublimano il superfluo senza mai dimenticare che il galateo è un’arma potente nelle mani di chi sa farne uso. Un giovane visionario inconsapevole già dai tempi della New York University quando, grazie alla fiducia di un editore toscano, sbanca nelle librerie e affronta un ambito ancora poco analizzato nel nostro stivale. Oggi rappresenta la massima espressione del garbo, della gentilezza e i suoi consigli funzionano non solo a suon di share. Noi ne abbiamo ottenuti un bel po’, in modo del tutto naturale. Come direbbe il nostro brillante protagonista, “senza zuccheri aggiunti”.
– Da fotografo, a scrittore, docente, volto tv, esperto di bon ton e ironico – pungente commentatore anche sui social. Come riesci a far convivere tutti questi aspetti?
“Non mi sono mai posto il problema. Detesto le convivenze forzate. Assecondo me stesso e mi esprimo con ció che ho a portata di mano. Dall’altra parte da che ho memoria mi è sempre piaciuto alternare i momenti. Solo recentemente ho scoperto il valore dei tempi morti. Prima semplicemente mi riposavo passando da un’attività all’altra, tutte apparentemente disconnesse, in realtà con un fil rouge che nella mia testa è abbastanza definito. Cambiano gli strumenti ma la sostanza è la stessa e con una formula che non ho certo inventato io: osservazione, selezione, divulgazione. Funziona nella fotografia, funziona della scrittura, funziona anche in televisione o quando si sceglie in 140 digitazioni di un tweet quando si vuole dire qualcosa.”
– Nell’era dei social network trovi che vecchi valori legati alla tradizione come il garbo e la ricerca della bellezza, strettamente connessi alla dimensione del bon ton, stiano decadendo?
“I social network non vanno demonizzati. È sempre l’uso che si fa delle cose che ne determina il valore o meno. Certamente in molti casi hanno contribuito alla mistificazione della realtà e questo non è mai troppo bene perché comunque trovo che sia difficilissimo ed estremamente frustrante per molti sostenere una posa, uno stile di vita, un’estetica che molto spesso non trova riscontro nella realtà al di fuori dello smartphone. Io sono troppo pigro per ritoccare le foto, per inventarmi una vita che non è la mia. E sono un grande sostenitore della responsabilità individuale. Il bon ton non può essere fake. Se sei gentile per convenienza o perché hai imparato a memoria le regole, dopo pochi minuti si capisce subito, anche se azzecchi l’hashtag.”
– Quali sono gli insegnamenti che se potessi, vorresti trasmettere ai giovani di oggi?
“Trascorro molto tempo in aula, che forse è uno dei luoghi dove mi trovo più a mio agio, a stretto contatto con i giovani, e il consiglio che do più spesso è quello di non cercare mai di vestire i panni di qualcun altro ma cercare di comprendere, alimentare, e assecondare i propri. La sicurezza di chi sa trovarsi sempre nel posto giusto al momento giusto è l’abito più elegante che si possa indossare.”
– Da scrittore dove trovi l’ispirazione e qual è stato il trampolino di lancio per Nicola?
“L’ispirazione per la scrittura dei miei libri è meno romantica di quanto si possa immaginare. Fino ad oggi ho scritto qualcosa che avrei avuto voglia di leggere e che non trovavo in libreria. Quanto al trampolino di lancio per la scrittura dobbiamo fare un passo indietro nel tempo al 2003. Ho proposto a un piccolo editore universitario di Pisa il mio libro di etichetta per il mondo del lavoro, contando che i giovani laureandi in economia ne avrebbero tratto qualche insegnamento prezioso per completare il loro percorso. Venivo dalla New York University, dove studiare galateo negli affari era una materia comune. Ma non in Italia. Il mio entusiasmo fu superato soltanto da questo editore, Fabrizio Felici, che ci vedeva lungo. In 15 giorni siamo andati in ristampa due volte, con un complice non da poco: Maurizio Costanzo, uomo di energia incredibile anche oggi, che è venuto a sapere di questo libro, mi dedicó un servizio di 15 minuti. Da lí, il boom.”
– Nato in Versilia, ti dividi anche tra Milano e Trieste, ci hai confidato che ami vivere di contrasti. Quanto è importante il dinamismo?
“Per me è fondamentale. Confesso di non dormire nello stesso letto mai per più di 3 giorni. È così da quasi vent’anni, faccio fatica a pensare una vita sedentaria. La Versilia per me rappresenta la famiglia, il vivere nel giro di 20 minuti tra le montagne, la campagna, i paesi e il mare. E soprattutto è il luogo dove ho imparato ad apprezzare l’arte. Collezione arte contemporanea dall’età di 15 anni. Il mio guru è Susanna Orlando. Sono arrivato a Trieste all’età di 22 anni con già un divorzio alle spalle, ed è stato amore a prima vista. Per me Trieste rappresenta la casa, il luogo dove vivere con lentezza, sono riuscito a conoscere non più di 5 persone in vent’anni il che mi consente di limitare gli obblighi sociali al minimo o forse anche al di sotto del minimo. E questo per me è fondamentale come contraltare per la frenesia di Milano che su di me ha un effetto adrenalinico: sono sempre in ritardo su qualcosa, devo sempre spostarmi da un lato all’altro della città con una velocità che la città stessa non consente, e quando arrivo a casa la sera sono stremato per cui dico di no a tre quarti degli inviti: da qui la leggenda metropolitana che vuole che io esca meno di Mina. In realtà di Milano, dell’asfalto sotto i piedi, della città che va a dormire tardi, dell’agenda piena zeppa di inviti che scarto sempre, di cinema dove non vado mai, ed i locali che aprono in continuazione da disertare accuratamente, ma che fa piacere sapere che ci siano, non potrei farne a meno. E adesso se volete chiedere un TSO immediato, ditemi solo dove devo firmare.”
– Racconta un episodio – se esiste – in cui non hai utilizzato l’arma del galateo.
“La buona educazione non ha il telecomando. E può essere un’arma vincente specie quando perdi la pazienza. Ti aiuta ad essere crudele senza dover ricorrere alla violenza o alle parolacce, per cui io che di pazienza ne ho poca, non potrei farne a meno.”
– Prima di andare in onda riti scaramantici o “viva la spontaneità”?
“Nel mio caso viva la spontaneità, non ho particolari riti scaramantici prima di andare in onda se non quello di evitare il contatto con certe persone che ti chiamano solo quando devono scaricarti addosso le loro frustrazioni.”
– Una costante nella tua vita.
“Le acciughe fritte.”
– C’è un ricordo che custodisci gelosamente?
“Certo. E rimane lí, nella mia cassa toracica.”
– Infine, qual è la qualità che contraddistingue maggiormente?
“Trovo che la maggior qualità si raggiunga quando pregi e difetti coincidano in una caratteristica unica, nel mio caso, la faccia tosta.”