Era il 1936 quando Walter Benjamin si chiedeva quale fosse il senso dell’arte all’epoca della sua riproducibilità tecnica. È da quando è stata inventata la fotografia che ci si chiede quale sia il destino dell’opera d’arte inteso in senso tradizionale, ovvero un’opera dell’ingegno ancorata ad un supporto materiale. Che senso ha dipingere una natura morta, quando posso avere una fotografia che la riproduce più fedelmente? Che senso ha un ritratto, se quello nella fotografia sono veramente io? Sono domande ontologiche, che hanno avuto le più svariate risposte, dall’allontanamento dell’arte dalla riproduzione del “vero”, all’evoluzione della fotografia essa stessa come forma d’arte; tutto è stato teso all’esaltazione dell’unicità dell’opera originale. E in questo senso è andata anche la norma: mettere in maglie strette la riproduzione e la copia.
Di fronte ad una rivoluzione ci sono sempre due vie: arginarla o seguirne il flusso. Si è scelto di arginarla.
E oggi? Oggi che stiamo arrivando al limite in cui la tecnologia sarà in grado di dirci se un video è vero o falso, ha davvero ancora senso parlare dell’unicità dell’opera d’arte? Probabilmente ce l’ha, ma va riscritto il modo con cui si dice l’unicità. Quando alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano sostituiscono la Cesta del Caravaggio con una fotografia, mentre l’originale è in restauro, cos’è che sta succedendo? Sta succedendo che qualcuno ha intuito che, comunque la si veda, la rivoluzione digitale non si può più arginare. Allora, vale la pena tentare di capire come sfruttarla.
Quella a cui stiamo andando incontro è l’evoluzione stessa del concetto di bene culturale, che inizia a scivolare sempre di più verso un servizio culturale; d’altra parte è il nostro stesso codice dei beni culturali (tutto concentrato sulla fisicità del bene culturale) che ci dice che tutela e valorizzazione del bene culturale hanno senso in tanto in quando necessari per garantire la fruizione pubblica del medesimo bene, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura.
Stiamo osservando la nascita di un mercato, in cui a circolare non sono più (solo) le opere d’arte nella loro fisicità, ma sempre di più diritti su questi beni, di utilizzazione, di riproduzione, di godimento. Portare un Leonardo dall’altra parte del mondo perché ne possano godere nuovi spettatori spesso è ingestibile, dal punto di vista della sicurezza e dei costi; idem per gli abitanti dell’altra parte del mondo per venire qui da noi a vederlo. E così lo sviluppo e la diffusione della cultura si fermano. Ma se io faccio una riproduzione digitale del mio Leonardo, e lo spedisco dall’altra parte del mondo? Se rendo possibile con un computer e degli occhiali a realtà aumentata fare entrare i cittadini dell’altra parte del mondo nel mio museo? Cosa sto facendo? Sto promuovendo lo sviluppo della cultura, la diffusione di un corpus culturale, quello italiano, che diventa così sì veramente patrimonio, perché diventa asset che produce sviluppo.
Chiaramente, tutto questo va guidato dentro binari che evitino gli usi distorti di questo mondo nuovo, bisogna capire come si muove il valore che questa circolazione genera e come evitare che il sistema sfugga di mano.
È quello che si cercherà di fare nel convegno organizzato dallo Studio Legalitax presso la Fondazione Ambrosianeum il 28 novembre 2019, LA RIVOLUZIONE DIGITALE NEL MONDO DELL’ARTE – Come blockchain e nuove tecnologie stanno cambiando il valore e le modalità di circolazione dei beni artistici e culturali.
Programma scaricabile da QUI
per adesioni legalitax.eventi@legalitax.it.
Lisa Dellupi