Sono le 21.30 del 5 gennaio 1984. Giuseppe Fava, scrittore e giornalista siciliano 59enne, da tutti conosciuto come Pippo, ha appena lasciato la redazione de I Siciliani, giornale che dirige, per andare a prendere la nipote, impegnata in un’esibizione al teatro Verga di Catania. A destinazione, però, non arriverà mai. Morirà nella sua Renault 5, ucciso da 5 colpi di pistola alla nuca. L’omicidio, in un primo tempo identificato come delitto passionale, verrà in seguito riconosciuto come un assassinio di stampo mafioso.
Per la sua morte verranno condannati all’ergastolo il boss Nitto Santapaola, accusato di essere il mandante, Marcello D’Agata e Francesco Giammuso, ritenuti gli organizzatori, e Aldo Ercolano e Maurizio Avola, gli esecutori.
Ma chi era Pippo Fava? Per prima cosa era un Uomo. Un comune mortale, sì, ma con il piglio di chi sulla Terra ci è arrivato per un motivo. La sua passione per l’informazione pulita e la sua dedizione al lavoro di giornalista lo rendono uno degli esempi più affascinanti e credibili della storia editoriale italiana del XX secolo.
Prima direttore del Giornale del Sud, poi fondatore e direttore (fino alla sua morte) de I Siciliani, Pippo Fava ci ha lasciato una serie di insegnamenti che noi di Smartweek abbiamo deciso di ricordare attraverso queste 5 citazioni, raccolte dai suoi interventi più celebri e dai suoi scritti più importanti.
“A che serve vivere, se non c’è coraggio di lottare?”
“Io ho un concetto etico di giornalismo. Ritengo inffatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza e la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili. Pretende il funzionamento dei servizi sociali. Tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo”.
“A volte basta omettere una sola notizia e un impero finanziario si accresce di dieci miliardi; o un malefico personaggio che dovrebbe scomparire resta sull’onda; o uno scandalo che sta per scoppiare viene risucchiato al fondo”. (da I Siciliani, luglio 1983)
“La morte a Palermo è diversa, la morte violenta. Più profonda, più arcana e fatale. Esige contemplazione: una fila di sedie tutt’intorno al corpo insanguinato, in mezzo alla strada, e ai parenti seduti immobili, in silenzio, a guardare. I ragazzini immobili e attenti. La morte è spettacolo da non perdere. La morte ha sempre una ragione d’essere. A Palermo essa va meditata e capita”. (da I Siciliani, giugno 1983)
“In questa società comanda soprattutto chi ha la possibilità di convincere. Convincere a fare le cose: acquistare un’auto invece di un’altra, un vestito, un cibo, un profumo, fumare o non fumare, votare per un partito, comperare e leggere quei libri. Comanda soprattutto chi ha la capacita’ di convincere le persone ad avere quei tali pensieri sul mondo e quelle tali idee sulla vita. In questa società il padrone è colui il quale ha nelle mani i mass media, chi possiede o può utilizzare gli strumenti dell’informazione, la televisione, la radio, i giornali, poiché tu racconti una cosa e cinquantamila, cinquecentomila o cinque milioni di persone ti ascoltano, e alla fine tu avrai cominciato a modificare i pensieri di costoro, e così modificando i pensieri della gente, giorno dopo giorno, mese dopo mese, tu vai creando la pubblica opinione la quale rimugina, si commuove, s’incazza, si ribella, modifica se stessa e fatalmente modifica la società entro la quale vive. Nel meglio o nel peggio”. (da “Un anno”, raccolta di scritti per la rivista i Siciliani, Fondazione Giuseppe Fava, 1983)