Avete mai sentito parlare di gelato raffreddato con azoto liquido o di frittura negli zuccheri? Non sono invenzioni aliene, ma trovate culinarie del fondatore della cucina molecolare italiana. Ma c’è di più: si parla anche di sferificazioni e spume d’avanguardia. Di cosa si tratta? Andiamo per gradi.
Alla fine dei gustosissimi anni ’80 (non dallo chef spagnolo pluri stellato Ferran Adrià, come si dice di questi tempi), la cucina molecolare nasce grazie al chimico francese Hervé This e a Pierre Giless de Gennes, premio Nobel per la fisica. Questa brillante coppia – con background pressoché simili – decide infatti di indagare le trasformazioni fisiche e chimiche degli alimenti e considerare la cucina una vera e propria scienza. Qualche anno più tardi, nel 1992, ad Erice – in Italia – si tiene un convegno dal titolo “cucina molecolare”. È proprio in questa occasione che Davide Cassi – un fisico dell’Università di Parma – insieme con lo chef Ettore Bocchia (oggi Executive Chef al Grand Hotel Villa Serbelloni di Bellagio) pubblicano il manifesto della cucina molecolare italiana. E proprio Bocchia – nel 2002 – idea e lancia il primo menu molecolare. Ma cosa si intende – in concreto – con cucina molecolare? Bocchia non fa molti giri di parole: “La cucina molecolare, semplicemente, si propone di sviluppare nuove tecniche di cucina e di creare nuovi piatti restando saldamente fedele ad alcuni principi”, tra cui l’ampliamento della tradizione gastronomica italiana nel rispetto delle sue materie prime e dei suoi ingredienti di qualità, l’attenzione per il contenuto (e dunque i valori nutrizionali) e non solo per l’estetica e la creazione di nuove testure, progettandole a livello microscopico grazie a specifiche conoscenze fisiche e chimiche.
Sferificazione di liquidi, cotture alternative coi metodi dell’irradiazione e dell’induzione, raffreddamento con azoto liquido. Le tecniche della cucina molecolare sono moltissime e riconducibili agli chef che per primi le hanno impiegate. Lo spagnolo Ferran Adrià, per esempio, ai primordi della sua carriera introdusse la schiuma culinaria, una schiuma di sapori oggi emulata dai più grandi chef di tutto il mondo. Oppure Tano Simonato che – con acqua scozzese e whisky – crea per i suoi clienti un raviolo trasparente o Ettore Bocchia che – appunto con azoto liquido – riesce a rendere gelato – in pochissimi secondi – qualsiasi cosa.
Nel 2010 la cucina molecolare è finita sotto le luci della ribalta, al punto tale da coinvolgere perfino l’allora sottosegretario alla Salute, Francesca Martini. Il governo, infatti, con un’ordinanza lampo, vietò l’utilizzo di additivi chimici nei piatti; in particolare, il decreto mirava a un concreto taglio di additivi e azoto liquido in cucina. La verità è che la cucina molecolare non prevede l’utilizzo di sostanze terze: piuttosto, si propone di indagare e manipolare l’alchimia degli alimenti. Un gioco non da ragazzi.
Ma la cucina molecolare non è soltanto quella che vede la luce tra le mura dei ristoranti più blasonati e stellati del pianeta. Anzi, proprio il contrario: la molecular gastronomy può entrare nelle case di ognuno. Come? La storia è semplicissima, molto più di quanto si pensi. Molecolare sta nel metodo: esistono molte tecniche casalinghe che si avvicinano a quelle della cucina molecolare. Per esempio, l’utilizzo dell’agar agar, il gelificante di origine marina proveniente dal Giappone, che da alcuni anni è entrato nelle case degli italiani. E poi metodi non troppo ortodossi, ma molto più facili di quanto sembra: cuocere un uovo con alcol etilico, usare la lecitina di soia per smorzare sapori troppo strong. Ma anche il semplice processo di cottura è un fenomeno chimico. Perché non provare quindi? Potreste scoprirvi alchimisti per caso. Il tutto, tra i fornelli di casa.
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