Perché Donald Trump Ha Bombardato la Siria? Ecco gli Obiettivi di Washington nel Conflitto Siriano

“ Non può esserci alcun dubbio che il governo siriano abbia usato armi chimiche, violato i suoi obblighi inerenti alla convenzione sull’uso di queste armi e ignorato le sollecitazioni del consiglio di sicurezza dell’ONU”. Con queste parole Donald Trump ha giustificato l’attacco americano di giovedì alla base siriana di Shayrat.

Per la prima volta dall’inizio del conflitto in Siria nel 2011, gli Stati Uniti hanno lanciato un attacco diretto contro il regime di Assad, colpendo una base militare siriana e infliggendo, secondo quanto riportato da Washington, importanti perdite a Damasco.

L’attacco americano segna un importante punto di svolta nella politica estera americana in Siria, che sotto Obama era stata caratterizzata da una semi-cautela in merito a un coinvolgimento nel conflitto. L’attacco di giovedì, infatti, potrebbe avere significative ripercussioni sui rapporti tra Stati Uniti e Russia, portare a una significativa escalation di violenze e far sorgere molte domande riguardo ai veri obiettivi di Washington a seguito del suo pubblico schieramento contro Assad.

Sin dallo scoppio delle proteste in Siria, e dell’inizio della guerra civile, trasformatasi in una guerra di procura tra potenze regionali e internazionali, due chiari schieramenti sono emersi dall’evolversi del conflitto. Il primo vede la Russia e l’Iran in prima linea per mantenere Assad al potere ed evitare un collasso del regime; il secondo, guidato dagli stati Arabi del golfo, Arabia Saudita e Qatar su tutti, insieme a Stati Uniti e altre potenze occidentali ha favorito l’avanzata dei ribelli e la loro sopravvivenza militare contro le forze governative.

L’accusa, senza prove certe, rivolta al regime di Assad per l’attacco chimico dello scorso martedì ha fornito a Washington il pretesto perfetto per attaccare il governo di Damasco. Nonostante la colpevolezza di Assad non sia stata provata e non sia ancora stata avviata un’indagine appropriata in merito, gli Stati Uniti avrebbero sfruttato l’occasione per riguadagnare terreno in Siria e controbilanciare la crescente influenza russa e iraniana nella regione.

Infatti, sin dal fallimento dell’invasione americana dell’Iraq e il rovesciamento del regime di Saddam Hussein, la capacità americana di influenzare eventi nella regione è significativamente diminuita, causando l’insorgere di numerosi gruppi jihadisti guidati da una retorica anti – americana. Soprattutto a Baghdad, il governo di Bush Jr ha dovuto assistere alla crescente influenza di Teheran, che ha saputo sfruttare il vuoto di potere lasciato dalla dipartita di Hussein per instaurare un governo più favorevole all’Iran guidato da una maggioranza Sciita.

Nel golfo, il crescente potere di Teheran nella regione non è andato giù all’Arabia Saudita, storico rivale ideologico e politico della repubblica islamica. Nel 2006 la vittoria morale di Hezbollah, gruppo sciita libanese finanziato da Teheran, su Israele aveva ulteriormente cambiato gli equilibri regionali, proiettando l’Iran, e anche il suo alleato siriano, in cima alla lista delle potenze mediorientali, assestando dunque un colpo importante all’egemonia israeliana e statunitense.

É dunque in questo ampio scenario di equilibri geopolitici e regionali che deve essere compreso la recente offensiva americana contro il regime di Bashar Al Assad. Già nel 2013, quando il governo di Damasco era stato ritenuto responsabile dell’uso di armi chimiche nella città Goutha, dove morirono circa 1000 persone, Obama aveva minacciato un intervento statunitense. Tuttavia, coincidenza vuole, che l’attacco fosse avvenuto lo stesso giorno in cui l’ispettore ONU per le armi fosse nel Paese, proprio su invito di Assad. Il presidente siriano aveva invitato l’esperto delle Nazioni Unite a investigare sul presunto uso di armi chimiche in un attacco del marzo 2013 dove persero la vita alcuni soldati siriani.

Dunque, solo un altro attacco chimico avrebbe potuto ottenere una pronta e immediata risposta da parte di Washington ai danni del regime siriano. In tal senso, sia l’Arabia Saudita che Najib Ghadbian, il rappresentante della coalizione nazionale siriana, hanno subito accolto con favore l’intervento americano, lieti di vedere il loro maggiore alleato occidentale attivo nella regione infliggere importanti danni al nemico numero uno: il regime di Assad.

E mentre l’Europa, Italia compresa, ha reagito positivamente all’azione di Trump in Siria, ancora una volta l’invasione di sovranità da parte degli Stati Uniti in Medio Oriente prospetta di trasformarsi in un’altra catastrofe come quelle del dopo Iraq e Afghanistan. Una storia troppo recente che l’Occidente farebbe bene a tenere mente prima di innalzarsi a giudice di una guerra dove la distinzione tra buoni e cattivi non è mai esistita.