Carne Sminuzzata e Cipolle alla Griglia, Storia e Successi della Bistecca di Amburgo

Nel 2001 era uno dei baracchini più rinomati di Madison Square e le sue squisitezze erano note a tutti. Oggi – a distanza di 14 anni di duro lavoro, fatica, impegno e (enorme) appetito – i famosi hamburgers di Shake Shack sono quotati in borsa, valutati 1.6 miliardi di dollari. Il titolo della “polpetta di carne” più amata di New York ha raggiunto i 45,90 dollari. Del resto come non aspettarsi un boom del genere da un brand con ben 63 ristoranti sparsi per Stati Uniti, Medio Oriente ed Europa.

Ma l’hamburger non conosce crisi non soltanto oltreoceano. E non è una novità. In Italia, per esempio, sono i giorni (per non dire mesi o addirittura gli anni) dell’hamburger stellato o gourmet. Il giro di affari è da capogiro e tutti ci sono dentro: dai nomi della cucina più risonanti ai trucks anonimi delle periferie. Del resto, le usanze e i gusti americani sbarcano in Europa qualche tempo dopo il successo nella terra a stelle e strisce.

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Ma a quando risale la comparsa del primo hamburger in Italia?

Era il 1985 quando a Bolzano apparve il primo McDonald’s con i suoi panini conosciuti in tutto il globo. Seguito da Burger King e Burghy (catena poi acquisita dallo stesso McDonald’s), il colosso americano del fast food ha avuto il merito di contribuire alla diffusione della bistecca macinata inserita tra due fette di pane. Il termine – originariamente “hamburger steak” – è nato agli inizi del ‘900 negli USA per indicare la tendenza degli abitanti della città di Amburgo di consumare la carne tra due pezzi di pane. Affascinati dai mix poco ortodossi, gli americani ne hanno poi fatto una moda e un business vero e proprio. E, nel corso degli anni, gli introiti hanno raggiunto numeri che hanno dell’incredibile. Ma – a dirla tutta – le origini di questo semplice alimento hanno una storia antichissima. Il primo antenato dell’hamburger, come lo conosciamo oggi, conta oltre 800 anni. Intorno al 1200, infatti, ai tempi di Genhis Khan, i cavalieri mongoli facevano scorte di carne cruda in grande quantità, che venivano riposte sotto le selle. A lungo andare, grazie al trotto ed al galoppo, la carne veniva pestata e sminuzzata, raggiungendo la consistenza – appunto – di un hamburger. I feroci mongoli conquistarono quasi due terzi del mondo fino ad allora conosciuto, spingendosi fino in Russia. Qui introdussero il loro alimento principale, che le popolazioni locali accolsero con il nome di “steak tartare” (Tartari erano appunto, per i Russi, le popolazioni mongole). Il tutto fu rielaborato con uova crude e cipolle. Il passo per gli States, poi, è breve. Nell’Ottocento alcuni emigranti tedeschi alla ricerca di fortuna nel Nuovo Mondo – diretti con la linea navale Hamburg-America – importarono una ricetta presa in prestito dai cugini russi nel continente oltremare.

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Secondo un rapporto di Eurocarni del 2013, il 5% del consumo di carne bovina, in Italia, è rappresentato dagli hamburger; ma i numeri sono in netta crescita. Ormai da qualche tempo, sono in moltissimi a considerare il fast food non più un cibo spazzatura e per forza economico: le reinterpretazioni del classico hamburger, infatti, sono parecchie, e così pure la selezione degli ingredienti e della filosofia che ne fa da contorno. Inoltre l’hamburger, verità o finizione che sia, è un alimento socialmente responsabile con un occhio di riguardo per lo spreco, nonostante si sia imborghesito negli ultimi anni: utilizzando buona parte di tutti i tagli di carne per realizzarlo, è un ottimo sistema per garantire un’offerta gastronomica compatibile con l’ambiente e l’economia. Ancora parecchio distanti sono i 16 miliardi di hamburger consumati ogni anno in America, ma l’Italia dei consumi non si rassegna. Creatività, selezione, gusto e fantasia: e l’hamburger continua a sbarcare (e a sbancare) anche nel Bel Paese.