In che modo l’uso delle tecnologie influisce sulle “morti nere” che hanno colpito l’America in questi ultimi giorni? E’ possibile che l’uso della rete, la condivisione, la produzione di contenuti, la facilità d’accesso alle nuove tecnologie e la perenne connessione ad un mondo via etere possano essere vitali?
Non lo è stato per il ragazzo di colore, Philand Castile, ucciso brutalmente in Minnesota la sera di mercoledì 6 luglio, nella sua macchina, mentre estraeva patente e libretto. Lo è stato, invece, per la sua ragazza, l’autrice del video, che, restando connessa al mondo, si è salvata dalla violenza di un poliziotto un po’ troppo frettoloso. Il mezzo è stato la nuova opzione di Facebook, Live, che ti permette di realizzare video in diretta streaming, condividendoli contemporaneamente con tutti i tuoi contatti.
L’autrice di questa clip ha usato il web come arma di difesa per salvare la sua vita, mantenendo la calma anche in un momento angosciante come quello che stava passando, testimoniando tutto e lasciando che il web si occupasse della sua protezione.
Diverso è stato l’uso del telefonino il giorno prima a Baton Rouge, in Louisiana: il video postato su Facebook all’account di Lavish Reynolds dura 10 minuti ed è una denuncia di una delle grandi piaghe d’America: la violenza verso il popolo afroamericano.
La vittima, Alton Sterling, un 37enne, mentre si trovava faccia a terra, è stato freddato con più colpi ravvicinati dai due agenti di polizia, Blane Salamoni e Howie Lake II, intervenuti sul posto attorno alle 12.30, dopo la chiamata da parte di un anonimo che aveva affermato che un venditore ambulante lo aveva minacciato con un pistola nel suo minimarket.
Il creatore del video, Arthur Reed, membro di un gruppo chiamato Stop the Killing Inc, ha deciso si postare il video sui social e la viralità della condivisione massiva ha generato una manifestazione di 200 persone che, scese in strada, hanno esternato il loro disaccordo con rabbia e dolore.
L’uso delle tecnologie è però un’arma a doppio taglio. Micah Xavier Johnson, afroamericano di 25 anni, ex soldato dell’esercito statunitense e medaglia al valore per le sue missioni in Afghanistan, organizzatore dell’assalto di Dallas costato la vita a cinque poliziotti, è stato ucciso da un drone robot killer, comandato in remoto per la prima volta dalle forze speciali statunitensi.
Indignato dalle due morti precedenti in Minnesota e Louisiana, dovute all’abuso della polizia, Micah aveva deciso di impugnare il suo fucile semi-automatico con l’intenzione di uccidere più poliziotti possibili durante una marcia di protesta del popolo afroamericano. Secondo il New York Times ha agito da solo, anche se tutte le altre versioni parlano di cecchini appostati negli edifici adiacenti che spianavano la strada al passaggio del popolo nero.
Le tecnologie possono essere mortali, ma allo stesso tempo salvarti la vita. Condividiamo la nostra esistenza con degli apparecchi che ci seguono tutto il giorno, dei quali non ci liberiamo mai. La nostra vita è scandita da un incessante utilizzo di mezzi di diffusione e il nostro DNA si è mescolato con le tecnologie, creando un’unica vita digitale. Non era, forse, prevedibile arrivare a condividere anche la morte con le tecnologie delle quali ci siamo circondati?