Gli ultimi dati che arrivano dall’economia giapponese non sono positivi. La prima riduzione vera e propria del Pil deriva principalmente da un calo dei consumi reali pari al 5%. Il premier Shinzo Abe e la sua famigerata Abeconomics, dopo il rialzo dell’Iva dal 5 all’8%, sta incontrando le prime vere difficoltà ed il mondo finanziario attende ulteriori sviluppi.
L’economia, dopo il “decennio perduto” in cui la stagnazione pareva un male incurabile, ha ricevuto una scossa dalle riforme keynesiane del nuovo premier.
Un dato che non sempre viene considerato nella sua interezza, e nella sua importanza, è quello dell’occupazione femminile nella società giapponese. Nell’immaginario collettivo spesso la donna nipponica è associata alla figura della Geisha, ruolo troppo spesso paragonato da noi occidentali a quello della prostituta.
Uno degli obiettivi della recente riforma riguarda proprio il miglioramento della situazione occupazionale femminile, che come gli esperti del settore hanno fatto capire al ministro giapponese, è di cruciale importanza per l’economia del paese: dal 1999 i report di Goldman Sachs, infatti, puntano sull’entrata nel mercato del lavoro di otto milioni di donne giapponesi, per un potenziale aumento del prodotto interno lordo pari al 15%.
Negli ultimi mesi queste raccomandazioni paiono essere state ascoltate, nel tentativo di cercare una crescita continua e sostenibile a lungo termine. Un altro aspetto che rende fondamentale una maggiore occupazione femminile e l’invecchiamento progressivo della popolazione del paese, cosa che esige l’immissione di “forze fresche” nel mercato del lavoro.
In passato, però, una grande attenzione alla famiglia ha portato ad errori di valutazione, come quello di tenere le donne in case con la speranza di aumentare la natalità: ponendo le giovani ragazze davanti a orari di lavoro folli le si spingeva a scegliere immediatamente il matrimonio.
Un accesso così farraginoso al lavoro per le ragazze nipponiche ha reso però ancor più stentata la crescita economica, e perciò il nuovo obiettivo, supportato anche dalla “Confindustria” giapponese, è di raggiungere il 30% di donne nel board della grandi aziende.
Le aziende e la società nel suo complesso sembrano seguire queste indicazioni e in generale le assunzioni al femminile crescono ininterrottamente da ventun mesi. Il numero di donne che lavorano tra 15 e 64 anni è pari al 64%, la percentuale più alta dal lontano 1968.
Chiaramente questi sono solo i primi passi: gli stipendi sono ancora molto inferiori rispetto ai lavoratori maschi, e le forme di contratto sono spesso part time o comunque a basso reddito. Ritornando al punto di partenza (il calo dei consumi reali) si può ipotizzare che questo ingresso nel mercato del lavoro sia d’aiuto anche su questo versante. Solo un’occupazione più stabile, infatti, potrà aiutare la spesa dei lavoratori, contribuendo a supportare le rischiose politiche espansionistiche di Abe.
Pare evidente che l’Abeconomics per funzionare al meglio abbia bisogno di una vera Womeneconomics.