Dal 2009, Greenpeace analizza scrupolosamente le performance del settore IT e pubblica un report annuale con i risultati dei suoi studi. È il terzo anno consecutivo che l’associazione ambientalista elegge Apple come l’azienda più green tra le grandi compagnie tech del mondo.
Nell’arco di cinque anni, Tim Cook ha completato la transizione degli impianti verso le energie rinnovabili: il suo nuovo quartier generale avrà 700 mila metri quadri di pannelli solari. Come se non bastasse, Apple ha coinvolto anche molti IT data center e cloud operators della sua catena del valore per convertirli all’ecosostenibilità.
Le parole di elogio firmate Greenpeace nei confronti di Cupertino sono giustificate anche da previsioni piuttosto allarmanti per l’ambiente: al momento il settore IT si accaparra il 7% dell’energia globale, ma si stima che entro il 2020 il traffico Internet globale triplicherà e con esso anche la domanda del mercato energetico.
Tuttavia, Apple e Google, leader del settore, fanno ben sperare: la loro crescita è, infatti, perfettamente integrata con il rispetto per l’ambiente e alimentata esclusivamente da energie rinnovabili.
Tim Cook ha intascato l’ennesimo successo. Ha superato l’esame a pieni voti anche nelle subcategorie dell’indice di Greenpeace: trasparenza dei consumi energetici, commitment nell’uso di energie rinnovabili, efficienza e riduzione degli sprechi, e approvvigionamento delle rinnovabili. L’unica pecca, nella quale è stato valutato con B, è l’advocacy: la subcategoria per la difesa della causa ambientalista. Nel complesso, Apple chiude l’anno con un punteggio pari a 83%.
D’altra parte, Google si è difeso bene: il suo indice si aggira intorno al 56% a causa della sua B nella trasparenza delle dichiarazioni sui consumi energetici. Per il resto, si è aggiudicato il giudizio migliore.
L’ultima sorpresa del 2016 è la new entry azienda di telecomunicazioni del Nevada, Switch, che batte il record con un punteggio pari a 100%.
Ma veniamo alle note dolenti.
Netflix, leader indiscusso dello streaming, è caduto in basso nella lista di Greenpeace: le sue insufficienze in tre sub-categorie su cinque la posizionano nella fascia delle D. Il motivo riguarda principalmente l’impegno e la trasparenza. A differenza di altre piattaforme di streaming (Apple, Facebook e Google), il portale ondemand americano non ha dimostrato pubblicamente il suo impegno nella difesa dell’ambiente, e ha mancato di diffondere i dati sui suoi consumi energetici e sulle emissioni di gas serra.
Indubbiamente lo streaming deve fare un passo indietro e imparare dai giganti del settore IT per salire di livello. Ma il 2017 è ancora tutto da costruire, appuntamento al prossimo report.