David Bowie, la Rockstar che Cadde sulla Terra Senza Farsi Imprigionare dall’Industria Musicale

E’ stato un figlio della discografia degli anni d’oro – quella ricca ma pigra, fatta di artisti viziati rinchiusi in magioni dorate e manager che giravano in limousine bevendo champagne – solo anagraficamente David Bowie, il genio del rock scomparso lo scorso 10 gennaio. Perché il “marziano”, come l’hanno salutato praticamente tutti, sulle testate generaliste e in TV, era quanto di più terrestre il mondo musicale contemporaneo ci avesse mai offerto. Oltre ad essere un innovatore della canzone e un rivoluzionario della comunicazione – se non altro di ambito artistico – il Thin White Duke è stato uno dei più lucidi, acuti e intelligenti manager di sé stessi coi quali la discografia abbia mai avuto a che fare.

Bowie non è mai stato vittima dell’industria dell’intrattenimento, come molti suoi colleghi – anche celeberrimi e dotati di un talento cristallino – sono stati. Anzi, David Robert Jones – questo il suo nome all’anagrafe – del musicbiz si è sempre servito per raggiungere i suoi scopi e mantenere una vera indipendenza artistico-creativa. Al di là del suo approccio rivoluzionario da rockstar – l’invenzione di alter ego come Ziggy Stardust, l’approccio collaborativo che lo portò a lanciare le carriere soliste di giganti come Lou Reed e Iggy Pop – Bowie ha saputo piegare alla sua volontà creatrice le dinamiche di mercato. Esemplare, in questo senso, fu la scelta di quotarsi in borsa, nel 1997: dopo aver ottenuto la bellezza di 55 milioni di dollari come pagamento anticipato dei titoli, che tennero ottimi rendimenti per i primi anni, quando l’irruzione delle prime piattaforme digitali scosse dalle fondamenta l’industria del disco trasformando, nel 2004, i suoi bond in titoli spazzatura, cosa di inventò il Duca Bianco? Investì il tesoretto accumulato dalla cartolarizzazione della sua carriera per riacquistare i diritti del suo catalogo che allora, ancora, non deteneva.

David Bowie al Festival di Cannes, 1983. (Credit: Richard Young)
David Bowie al Festival di Cannes, 1983. (Credit: Richard Young)

Mossa, questa, che lo renderà un vincente – in termini di business –  anche dopo la sua morte. Perché la dipartita di un personaggio celebre, si sa, ha sempre un forte impatto emotivo sulle masse, che il più delle volte si traduce in un rimbalzo – nelle classifiche – di titoli di catalogo legati all’artista scomparso. E benché sia presto per disporre di dati effettivi sull’andamento delle vendite sui canali tradizionali, le chart in tempo reale di piattaforme come Spotify e Pandora parlando di un incremento monstre (pari al 2700%) degli ascolti del suo catalogo. Dato che se dovesse replicarsi anche sul mercato “fisico” vedrebbe Bowie mettere a segno l’ennesimo colpo da maestro (di  business). No, per certi versi, una certa industria musicale non rimpiangerà affatto uno come lui…