“Don’t Rain on my Parade”: Radio Bocconi Porta le Tematiche LGBT On Air

Don’t Rain on my Parade” è il nuovo programma di Radio Bocconi curato e diretto da Matteo Di Maio e Marco Borrelli.  Il titolo, chiaro rimando alla canzone di Barbra Streisand, porta già dentro di sé lo scopo del programma: affrontare per la prima volta, in un programma interamente dedicato alle tematiche LGBT, i problemi in materia di diritti alternando il serio al faceto. “Un programma troppo serio rischia di perdere ascolti, uno troppo superficiale rischia di mandare il messaggio sbagliato, che siamo solo dei fenomeni da baraccone.” – Ci dice Matteo- “Noi siamo cittadini di serie A, attualmente considerati ancora di serie B dal potere legislativo.”

Marco, parlaci innanzitutto dell’associazione BEST Bocconi di cui entrambi siete membri.

BEST Bocconi è l’associazione studentesca dell’università Bocconi che promuove tutte le tematiche legate alla diversity: orientamento sessuale, diversità di genere, persone diversamente abili, minoranze etniche e religiose. “Don’t rain on my parade”, nata inizialmente come trasposizione di BEST, si porta con sé il forte impegno che l’associazione ha assunto nell’ultimo anno a sostegno in particolare dell’ orientamento sessuale e dell’ identità di genere. Il progetto che portiamo avanti insegue il sogno di vedere l’uguaglianza di diritti riconosciuta per tutte le tipologie di minoranze, non solo quelle etniche e religiose,  ma anche quelle sessuali.  A livello legislativo è già riconosciuto l’aggravante per  vari crimini di violenza verso minoranze di natura religiosa ed etnica e persone diversamente abili,  vengono invece  per il momento escluse ancora le persone omosessuali . Quello che noi crediamo è che in questo modo si voglia escludere una porzione di popolazione importante la cui stima percentuale più bassa è oggi pari al 5%. Per me la trasmissione e BEST sono un modo di esprimermi come non ho mai potuto fare.

Matteo, invece per te cosa significa essere membro di BEST?

BEST mi dà la possibilità di coltivare quello che vorrei diventasse il mio lavoro: partire dalla giurisprudenza e lavorare per i diritti umani, ispirandomi a quanto detto nel 1990 da Hilary Clinton “ i diritti gay sono diritti umani”.  Credo che sia sbagliato considerare la battaglia per i diritti civili come qualcosa che si possa settorializzare. Io sono gay, ma sarò sempre in prima fila per quanto concerne tutti i temi legati alla diversity. La radio vuole essere sia per me che per Marco l’aspetto un po’ più ludico, senza perdere mai di vista la serietà del tema. Nel corso della prima puntata abbiamo parlato di temi importanti come ad esempio l’episodio del ragazzo gay a cui è stata ritirata la patente a Pavia. Non ho mai sentito parlare dell’esistenza di un programma dichiaratamente gay, ma ciò che penso è che se non ci si impone a 20 anni di lanciare il messaggio che non ci sia niente di male ad esprimersi totalmente nella propria essenza, non ci si  possa aspettare che lo faccia qualcun altro per noi.

Marco, giornalmente durante la tua vita dentro e fuori l’università  ti senti un  cittadino di serie B?

In università no. Tuttavia c’è chi considera ancora l’omosessualità una scelta, una malattia, un periodo,o addirittura un pericolo. È qualcosa che si sente a pelle. Personalmente mi è capitato di trovarmi in una conversazione con persone che non erano a conoscenza della mia omosessualità e un ragazzo affermò che l’omosessualità era stata dimostrata essere una malattia genetica.  Il fattore genetico esiste, è qualcosa che è stato riconosciuto, ma si parla di fattore non certo di una malattia. Un semplice fattore genetico come può essere quello che definisce il colore dei nostri occhi.  Ho trovato tante persone aperte al dialogo e tante persone invece che non accettano mediazioni riguardo la tematica dei matrimoni gay e della adozioni. Ciò che non comprendo è perchè  dovrebbe destare scalpore una coppia gay che si definisce sposata invece che “unita civilmente”. Perché mi devo nascondere in una società che si definisce più evoluta quando ho gli stessi istinti sessuali e sentimentali di un mio compagno eterosessuale?

Matteo, quali sono le cause secondo te di questa mancata accettazione?

Il problema non penso sia religioso, ricordiamoci che il matrimonio gay è stato accettato e riconosciuto in un paese religioso come la Spagna. In Inghilterra i matrimoni gay sono stati approvati dal partito conservatore di David Cameron, non dal partito laburista, quindi  possiamo affermare che le reticenze esistenti in seno alla destra europea sono stata superate. Il problema è che l’Italia ha una classe politica che non riesce a trattare l’argomento con professionalità e anzi lo utilizza come asso nella manica in periodo elettorale.

Marco, pensi che l’inserimento dei diritti dei gay all’interno della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo sia una strada percorribile?

Potrebbe esserlo se riuscissimo ad avere una Dichiarazione Dei Diritti dell’Uomo laica e non rispetto al solo cristianesimo, ma rispetto ad ogni religione. Secondo me la strada non sono le Nazioni Unite, ma l’Unione Europea perché è molto più prolifica da un punto di vista legislativo. Le sue prime sentenze riguardo i diritti dei gay risalgono al 1963 quando si stabilì che una persona non potesse essere licenziata dal suo posto di lavoro perché gay. Quello italiano rimane invece un problema di volontà nell’applicare le direttive comunitarie.

Matteo, per quanto riguarda invece il campo lavorativo, vi sentite ancora discriminati?

Se facessi application per una posizione di Diversity Manager in un’azienda probabilmente avrei un vantaggio rispetto ad un mio coetaneo, ma per il semplice motivo che leggo, mi documento, spendo molto del mio tempo ad informarmi sull’argomento diversty. Nel nostro paese probabilmente ci sono ancora delle tacite resistenze ad alti livelli soprattutto nel settore privato. Mi fa però ben sperare il fatto che negli Stati Uniti la HR manager di una delle più grandi multinazionali farmaceutiche sia una donna transgender.