Durante la stagione estiva appena trascorsa, il continente africano, ed in modo particolare Guinea, Sierra Leone, Nigeria e Liberia, si sono fatti palcoscenico di una delle più terribili e temibili epidemie che i tempi moderni ci abbiano trasmesso e, seppur indirettamente, fatto vivere.
Circa 5.000 gli infettati dal virus letale e più di 2500 i decessi; si tratta di dati che potrebbero raddoppiare o triplicare nei prossimi mesi. E’ doveroso riflettere. Assenza di prevenzione, scarsa comunicazione e inesistente collaborazione tra i Paesi coinvolti dal virus; queste potrebbero essere alcune delle cause scatenanti della diffusione capillare del virus.
Guinea e Sierra Leona, ad esempio, piuttosto che adoperarsi al fine di debellare o, quanto meno, arginare l’epidemia, hanno deciso di adottare una politica fondata sull’aggressione verbale, limitandosi ad attribuirsi vicendevolmente le colpe della diffusione della malattia senza però trovare soluzioni concrete allo scopo di evitare ulteriori contagi.
Proprio la Guinea da una parte e la Liberia dall’altra si trovano nella situazione peggiore rispetto agli altri Paesi; la prima, già scossa da un situazione politica quasi dittatoriale, ha visto il suo instabile sistema sanitario sgretolarsi per i colpi inferti dal virus e dalle spese necessarie a combattere questa guerra; la seconda, divenuta un Paese democratico da meno di un decennio, non è in grado di garantire alcun tipo di sostegno medico ai suoi abitanti.
Non si tratta sicuramente di una casualità se il virus si sia diffuso proprio in questi territori entrati “di diritto” tra i più poveri al mondo e all’interno dei quali risulta pressoché assente un vero e proprio sistema sanitario: basti pensare che in Guinea si spendono annualmente 62$ annui per persona contro i 3.360$ previsti, ad esempio, dal governo britannico per i suoi abitanti.
Recenti stime hanno calcolato come in Sierra Leone, ogni 100.000 abitanti esistano soltanto due medici. Numeri difficili da accettare e differenze incolmabili, quelle tra il mondo occidentale ed il continente africano. Nell’immediato risulterebbero necessari degli importanti investimenti monetari e di risorse umane, ovvero medici e volontari.
Croce Rossa e Medici Senza Frontiere non hanno esitato ad intervenire ed è altrettanto vero che l’intervento dei Paesi dell’Unione Europea da una parte e degli Stati Uniti dall’altra, non si sono fatti attendere. Contestualmente la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha visto il proprio budget decrescere sensibilmente dal 2010 ad oggi ( -35 % ). In casi di questo tipo, la scelta di affidarsi al tempo e di attendere non rappresenta certamente la decisione più efficace; il segretario generale dell’ ONU, Ban Ki-moon ha dichiarato di voler indire una “Coalizione per la risposta mondiale al virus”, portando questo dramma nuovamente all’ordine del giorno. Si tratta di un altro passo avanti. Ma sarà sufficiente?