Una volta insediatasi dopo il colpo di Stato del 24 marzo 1976, la giunta militare composta dai generali Jorge Videla, Emilio Massera, Roberto Viola, Armando Lambruschini e Leopoldo Galtieri si trovò fra le mani una situazione piuttosto complessa. L’ordine pubblico era gravemente deteriorato dalle attività terroristiche delle guerriglie di sinistra e dei gruppi paramilitari di destra, mentre l’economia argentina era sprofondata in una spirale inflazionistica, con una produzione che ristagnava e con un pil che nel 1975 registrava un – 0.6%. La ricetta che i militari decisero di imporre al paese era ispirata alla più stretta ortodossia liberista, prevedendo tra le altre cose la valorizzazione dei settori esportatori e una riduzione del peso dei settori industriali urbani e delle protezioni statali di cui giovavano in quel periodo.
Artefice di tali politiche fu l’economista José Martínez de Hoz, nominato ministro dell’economia nel 1976, che lanciò un programma volto alla liberalizzazione dei mercati e all’apertura totale dell’economia del paese alla concorrenza straniera. Prima di tutto, mise in atto una serie di misure per far fronte alla crisi ottenendo dal FMI un prestito di 300 milioni di dollari e un altro miliardo di dollari da un consorzio di banche americane, superando la congiuntura negativa. Il programma economico del Proceso non si limitava però al superamento della crisi, ma voleva risolvere alla radice quelli che riteneva essere le storture che impedivano all’economia argentina di prosperare: l’intervento dello Stato e i gruppi corporativi. Per questo motivo Martínez de Hoz iniziò sistematicamente a smantellarli entrambi, anche se per quanto riguarda le risorse pubbliche va detto che queste non vennero tagliate del tutto, ma dirottate solo su alcuni concorrenti favoriti dallo Stato. Venne poi proibito lo sciopero, congelati i salari e sospesa la contrattazione collettiva. Le barriere tariffarie all’importazione di manufatti industriali vennero abbassate a ritmi sempre più accelerati, e nel 1977 venne introdotta una vasta riforma del settore finanziario, che vedeva le banche divenire da strumento di trasferimento forzoso delle risorse dall’export all’industria a fulcro della liberalizzazione dell’economia, lasciando il tasso di interesse libero di fluttuare seguendo l’andamento del mercato e venendo liberalizzata la proliferazione di istituti bancari. Si trattò nel complesso di una riforma ibrida: lo Stato infatti estese la sua garanzia anche sui depositi a rendimento fisso e non solo dei titoli pubblici. Questa ibridazione fu tra le cause del collasso economico argentino degli inizi degli anni Ottanta.
Oltre alla liberalizzazione, altro pilastro della gestione economica di Martínez de Hoz fu la lotta all’inflazione, portata avanti tramite una politica di restrizione monetaria fondata sulla rimozione dei controlli sul tasso di interesse. Non si trattò di una manovra efficace: non diede grandi risultati nel limitare l’inflazione e soprattutto danneggiò l’attività economica. Dato questo fallimento Martínez de Hoz si convinse che la radice dell’inflazione risiedesse nella scarsa fiducia che gli operatori economici riponevano nell’economia argentina, mettendo in atto di conseguenza atteggiamenti speculativi. Di conseguenza, un insieme di regole fisse avrebbero teoricamente restituito quindi credibilità e fermato l’inflazione. Nel 1978 quindi venne inaugurata la tablita, ovvero una svalutazione del tasso di cambio mensile le cui dimensioni erano fissate di volta in volta su una tabella resa pubblica ed erano inferiori alla differenza tra inflazione interna ed esterna, svalutazione che in teoria avrebbe dovuto calare progressivamente fino ad azzerarsi. La manovra però non funzionò e l’inflazione esterna ed interna non si avvicinarono. Inoltre la sopravvalutazione della moneta argentina, oltre a non essere legata ad alcun aspetto reale dell’economia, fece crescere enormemente i prezzi dei prodotti di consumo. La tablita resistette fino al 1981, anno in cui l’Argentina fu costretta ad effettuare una svalutazione del peso.
Come ha correttamente detto Francesco Silvestri nel suo saggio di storia economica argentina (L’Argentina da Perón a Cavallo (1945 – 2003). Storia economica dell’Argentina dal dopoguerra ad oggi), “Poco alla volta, la base economica della nazione era diventata il settore finanziario, altamente instabile, mentre l’ingresso continuo di capitali stranieri, in maggioranza investiti in operazioni di breve periodo, preparava la futura esplosione del debito estero, manteneva alti i tassi di interesse e, tramite la rivalutazione del tasso di cambio, non consentiva all’inflazione di ridursi.”. Il 1980 fu l’anno della verità: le imprese furono costrette ad aumentare i tassi di interesse dei depositi a interesse fisso appena si accorsero di non essere nelle condizioni di pagare i debiti contratti con le grandi banche, aumentando una raccolta di depositi garantiti dallo Stato aumentando la situazione generale di insolvibilità. Nello stesso anno venne decretato il fallimento di quattro grossi istituti bancari. Lorenzo Sigaut, succeduto nel 1981 al ministero dell’economia a Martínez de Hoz, abbandonò la tablita, ormai insostenibile, impose delle restrizioni al mercato finanziario e svalutò il peso del 60%. Nel 1982 vennero nazionalizzate le perdite delle banche e il debito privato, cresciuto a dismisura dal 1976.
A livello sociale le politiche economiche del Proceso provocarono una sensibile dilatazione della forbice tra ricchi e poveri: da meno del 10% nel 1976, la popolazione sotto il livello di povertà passo a toccare picchi di più del 30% nel 1982. La produzione industriale, priva della protezione delle barriere tariffarie, subì una contrazione del 20%, esattamente come l’occupazione nel settore industriale (parzialmente compensata però da un assorbimento della manodopera nel terziario). Il numero di imprese argentine diminuì sensibilmente. L’economia argentina non venne minimamente rinforzata dall’apertura alla concorrenza straniera, contrariamente alle previsioni fatte da Martínez de Hoz. Nel complesso, la finanziarizzazione distorta dell’economia del paese portata avanti negli anni del regime militare sarà alla base delle sue crisi successive, insieme con la cronica instabilità del sistema economico del paese sudamericano.